A distanza di poco più di tre mesi dalla pubblicazione di “Mutator”, primo vero e proprio album postumo di Alan Vega, tornano ad aprirsi gli archivi che custodiscono l’abbondante materiale inedito della leggendaria voce dei Suicide. La seconda uscita targata 2021 è a cura della piccola label indipendente In the Red Records e si intitola “After Dark”. Al suo interno, sei tracce registrate in presa diretta nel corso di un’intensa session notturna svoltasi nelle sale dei Renegade Studios di New York nel 2015, ovvero l’anno precedente la morte di Vega.
I musicisti coinvolti nel progetto, tutti membri di una band chiamata Pink Slip Daddy, hanno ricordato l’esperienza facendo riferimento al susseguirsi di sensazioni differenti provate durante la jam: meraviglia, eccitazione, terrore e mistero. Un turbinio di emozioni che cresce di minuto in minuto e procede seguendo le polverose strade del blues rock, del rockabilly, della psichedelia, del jazz e del rock and roll. Di queste sonorità Alan Vega ““ e forse è inutile starlo anche a specificare – predilige le forme più grezze, oscure, lisergiche e inquietanti.
La musica acida e ipnotica di “After Dark” evoca immagini distorte, fumose ed estremamente cupe; un incubo urbano che si sviluppa nei vicoli più bui e malfamati di una città mai toccata dalla luce del giorno. Visioni angosciose che partono dalle improvvisazioni del chitarrista Ben Vaughn, della bassista Barb Dwyer e della batterista Palmyra Delran, cui va il delicato compito di dar sostegno a un Vega anziano e già malato che, adattandosi a imprevedibili evoluzioni strumentali, strepita, ringhia, rantola, sussurra, gioca a fare il crooner, azzarda timidi accenni melodici e si lancia in interminabili litanie dal tono salmodico, quasi volesse farsi passare per un Jim Morrison dei bassifondi newyorchesi.
I suoni crudi, scarni e secchi della chitarra elettrica, del basso e della batteria, di tanto in tanto “sporcati” dai synth e da imprecisati rumori sintetici, aggiungono un tocco di spietatezza a brani tanto ripetitivi quanto suggestivi, poichè davvero capaci di immergere l’ascoltatore in quelle atmosfere notturne cui si fa allusione già nel titolo dell’opera. Un disco da gustarsi al calar delle tenebre, possibilmente in cuffia e seduti su una poltrona in una stanza con le luci soffuse. Senza esagerare, però: il rischio di cadere in stato soporoso è dietro l’angolo.