CHVRCHES capitolo quattro e sono passati dieci anni da quando Lauren Mayberry, Iain Cook e Martin Doherty hanno mosso i primi passi musicali, sette dall’esordio “The Bones of What You Believe”. Un periodo che ha trasformato la band scozzese in un successo con tutti gli alti e bassi del caso, tantissima musica e molta attesa per ogni nuova uscita, che fosse il secondo album “Every Open Eye” o l’ultimo non brillantissimo “Love Is Dead”.
“Screen Violence” registrato durante la pandemia mentre Cook era a Glasgow, Mayberry e Doherty invece a Los Angeles doveva essere nelle intenzioni un disco se non proprio spensierato o allegro almeno un po’ più pimpante, strutturato e pensato per evadere dal disastroso mondo degli ultimi due anni. Ha finito invece per diventare un sequel di “Love Is Dead” con i suoi momenti buoni e suoi cali di tensione, un lato synth pop ben marcato che emerge nei singoli “He Said She Said” e “Good Girls” (molto migliori il remix di John Carpenter e la versione interpretata al “The Tonight Show Starring Jimmy Fallon”) ma non contagia “How Not To Drown” che nonostante la presenza di Robert Smith dei Cure fatica a lasciare il segno.
Decisamente meglio fanno i CHVRCHES in “California” o “Violent Delights” che un posticino tra i singoli l’avrebbero meritato e nel finale con l’uno ““ due “Nightmares” ““ “Better If You Don’t” dotato di intensità e forza melodica. Chiusura in crescendo di un disco tra ironia, melodia, pop e hyperpop con gli immancabili sintetizzatori, qualche chitarra e testi, scritti con la solita onestà da Lauren Mayberry, che mettono alla berlina l’odierno mondo digitale e le sue manie di perfezione.
E’ a livello sonoro che il terzetto scozzese sembra essersi arenato, riproponendo formule già note a volte con il dovuto brio, altre con gran mestiere e nulla più. L’autoproduzione, la lontananza non si addicono ai CHVRCHES e rendono “Screen Violence” un album tutt’altro che memorabile, con qualche buon momento. Quarantadue minuti che vanno sul sicuro e potrebbero funzionare bene dal vivo data l’indiscutibile presenza scenica di Lauren Mayberry, Iain Cook e Martin Doherty ma visti i nomi coinvolti (Robert Smith in primis) era lecito aspettarsi qualcosa di diverso.
Credit foto: Sebastian Mlynarski & Kevin J Thomson