Sono trascorsi ben quarantacinque anni dalla pubblicazione dell’ormai snobbatissimo “Technical Ecstasy”. Che sia finalmente giunto il momento di rivalutare positivamente uno degli album più controversi mai realizzati dalla formazione classica dei Black Sabbath? In linea di massima, direi di no. Se il metro di paragone sono i grandi capolavori registrati dal quartetto di Birmingham ““ penso essenzialmente ai primi cinque dischi, tutti usciti tra il 1970 e il 1973 ““ allora non c’è davvero storia.
In queste otto tracce non vi è neppure l’ombra della genialità degli esordi; mancano le atmosfere plumbee, i riff monumentali, i richiami all’esoterismo nei testi e le perfide galoppate strumentali dal respiro jammistico. Tutte peculiarità divenute a dir poco ingombranti in un periodo di enorme fermento nella storia del rock, con le giovani leve del punk già pronte ad affondare i vecchi carrozzoni hard e progressive a colpi di irriverenza, semplicità , velocità e immediatezza. Un ricambio generazionale minaccioso e demotivante per i Black Sabbath di “Technical Ecstasy”, un gruppo in pieno declino ma non ancora del tutto rassegnato alla fine imminente.
L’unica via da seguire per non svanire nel nulla e lasciarsi travolgere dai vizi è quella del rinnovamento: levigare la superficie metallica per sposare uno stile meno riffocentrico e più melodico e stratificato, con aperture decise al rock da classifica e all’utilizzo dell’organo, del pianoforte e dei synth analogici. Una mutazione artistica ““ non drastica, ma incisiva ““ che però dà buoni frutti solo a fasi alterne.
A salvare il salvabile è il chitarrista Tony Iommi, l’unico membro della band realmente coinvolto in un progetto nato male ma miracolosamente andato in porto. Mentre i suoi compagni si trovano a prendere il sole sulle spiagge assolate di Miami, lui passa le sue giornate rinchiuso all’interno dei Criteria Studios, totalmente assorbito dal compito di porre rimedio agli errori fatti nelle fasi di produzione e missaggio.
Suoni chiusi, logori e sgranati, con volumi assolutamente sballati e la voce del povero Ozzy Osbourne spesso sovrastata dalle onnipresenti tastiere: no, la musica di “Technical Ecstasy” non esce fuori dalle casse che è una bellezza. La modesta qualità audio rappresenta il principale difetto di un’opera che tuttavia, tra alti e bassi, riesce inaspettatamente a regalarci più di qualche piacevole ricordo.
Le sorprese non sono tutte sgradite, anzi. Sono da promuovere a pieni voti l’energica “Back Street Kids”, con i suoi curiosi svolazzi di synth e i riferimenti, in alcuni passaggi abbastanza palesi, ai The Who; la tenebrosa e drammatica “You Won’t Change Me”, che convince sin dalle prime battute con un riff cattivissimo e in pieno stile sabbathiano; la funkeggiante “All Moving Parts (Stand Still)”, che scorre via sinuosa tra i singhiozzi del Clavinet e il groove del basso di Geezer Butler; la teatrale “Gypsy”, dominata dagli avvincenti duelli tra chitarra e tastiere e dalla batteria di un Bill Ward in splendida forma. A quest’ultimo spetta l’onore di cantare sugli accordi di piano di “It’s Alright”, una tenera ballad dal gusto beatlesiano di cui esiste pure una cover dei Guns N’ Roses.
Ma l’unica vera e propria perla dell’intero “Technical Ecstasy” è l’immensa “Dirty Women”, scandalosamente confinata a fine disco dopo le deludenti “Rock “‘n’ Roll Doctor” e “She’s Gone”, un lentone sinfonico fastidiosamente mieloso. Si tratta di un epico inno alle prostitute della Florida: una canzone lunga e complessa, strutturata in modo tale da raggiungere la ripetitiva ma trascinante coda (il modello non dichiarato è “Hey Jude”) attraverso l’alternarsi delle note cupe e tese della parte iniziale, degli intrecci armonici tra sei corde e organo nel bridge, dei folli sapori latini nello special ultra-ritmato e del riffone metallaro – uno dei pochissimi memorabili nel disco ““ che fa da collante in questo esaltante labirinto di stili, influenze e suggestioni.
Che questa delizia per le orecchie sia sufficiente per salvare dall’oblio del tempo il povero “Technical Ecstasy”? Il timore reverenziale che provo nei confronti dei Black Sabbath mi impedisce di dare una risposta lucida. Vale comunque la pena dare una ripassata.
Data di pubblicazione: 25 settembre 1976
Tracce: 8
Lunghezza: 40:35
Etichetta: Vertigo
Produttori: Black Sabbath
Tracklist:
1. Back Street Kids
2. You Won’t Change Me
3. It’s Alright
4. Gypsy
5. All Moving Parts (Stand Still)
6. Rock “‘n’ Roll Doctor
7. She’s Gone
8. Dirty Women