C’è un leggerissimo fuori tempo tra la chitarra acustica e la batteria nell’attacco di “The Most”, la prima traccia del disco di debutto di Julia Bardo. Può sembrare un dettaglio, ma inquadra subito una delle caratteristiche principali dell’album: è un lavoro dalle superfici non levigate, dai suoni asciutti e taglienti, come se fossero stati registrati in un’epoca dove correggere ogni imperfezione non era ancora a portata di clic.

Giulia Bonometti, questo il suo nome all’anagrafe, è nata a Brescia ma da 4 anni vive a Manchester, dove ha fatto parte dei Working Men’s Club. Abbandonata la band poco prima dell’uscita del loro eponimo disco di debutto, aveva esordito da solista nel 2020 con i due EP “Phase” e “The Raw EP”. Questo suo primo album, che prende il titolo dal palazzo dove abitava a Manchester, soffre di una certa ripetitività  ma conferma anche il talento di un’artista che ha saputo ritagliarsi un’identità  molto precisa e coraggiosa.

In una playlist pubblicata insieme all’uscita del disco Bardo ha raccolto una serie di artisti che hanno influenzato la sua scrittura, come Breeders, Sleater-Kinney, e PJ Harvey. Ma il risultato va in una direzione differente e singolare: i suoni secchi di “Love Out of Control” sembrano arrivare dagli anni 60 inglesi di Kinks e Cream, la strofa di “No Feeling” ha diversi punti di contatto con il post-punk dei Dry Cleaning, mentre l’apertura di “Into Your Eyes” fa pensare alla neo-psichedelia dei Foxygen di “No Destruction”.

Se “Phase” era stato prodotto da Henry Carlyle Wade degli Orielles, stavolta produzione e mixaggio sono affidati a Euan Hinshelwood degli Younghusband, che qui suona anche diversi strumenti. Il basso di Fergus Lysaght e la batteria di Tara Gabriella Engelhardt sono cruciali nel creare un suono vintage e sempre al confine col giocoso: l’assolo di “Do This To Me” è suonato con una melodica, ma anche i riff di chitarra elettrica di “No Feeling” hanno un che di scanzonato.

I testi di giocoso hanno invece poco: apatia, depressione, desiderio di validazione, sono le parti più oscure di sè quelle che Bardo sceglie di mettere sotto i riflettori, cantando in modo insieme intenso e distaccato, dubbioso e sicuro di sè. Il filo rosso è l’incapacità  di essere in controllo delle proprie emozioni: “Mi è venuto in modo molto naturale, avevo bisogno di far uscire le emozioni che provavo”, ha detto in un’intervista al podcast Eat This Music. I versi non sono sempre memorabili, ma nei momenti migliori quelle emozioni arrivano all’ascoltatore allo stesso modo della musica: dirette, pure, senza filtri.