Nel 1986 i New Order giungono al culmine di una carriera già  decisamente fortunata con il fenomenale “Brotherhood”, un album denso e ricco di sfumature che raccoglie alcuni tra i migliori pezzi mai scritti dal quartetto di Manchester. Un disco magari non rivoluzionario ma maturo, raffinato e a suo modo coeso, nonostante la netta distinzione tra le chitarre del post-punk, che occupano l’intero lato A, e i sintetizzatori tipici del synth-pop, protagonisti incontrastati di un lato B letteralmente dominato dalla musica elettronica nella sua forma più fluida, in costante bilico tra sonorità  calde e fredde.

Dalle visioni divergenti di Bernard Sumner, interessato a esplorare in lungo e largo le potenzialità  delle nuove tecnologie, e di Peter Hook, strenuo sostenitore del più sporco, genuino e umano lavoro di gruppo, nascono nove brani che sono il frutto di tanti piccoli e ispiratissimi compromessi.

Il primo si intitola “Paradise” e parte con i colpi di rullante secchi e precisi del batterista Stephen Morris. è lui a dettare il ritmo sul quale si articola il groove gelido e insistente del synth-bass, in aperto conflitto con le quattro corde squillanti di Hook e il cantato quasi carezzevole di un Sumner in vena di romanticherie (I want you, I want you/I need you, I need you).

Le schitarrate nervose di “Weirdo”, una canzone frenetica e dal leggero retrogusto Cure, fanno da serbatoio alla travolgente energia che irrompe in un ritornello a dir poco radioso. La delicatezza della splendida “As It Is When It Was”, che si muove armoniosamente tra le note limpide della chitarra acustica e l’effetto chorus che impreziosisce il basso melodico di Peter Hook, si infrange contro un muro di feedback nel convulso minuto finale.

è lo spettro dei Joy Division a far capolino nel post-punk ruvido e indiavolato di “Broken Promise”, un treno in piena corsa che viaggia ultrarapido sul charleston in sedicesimi di Morris. Il fantasma di Ian Curtis infesta però anche le ultimissime battute di “Way Of Life”, un bel pezzo alt rock decisamente avanti rispetto ai tempi (roba del genere avrebbe fatto venir l’acquolina in bocca ai tanti emuli dei New Order dei primi anni ’00) in cui, parzialmente nascosta dal muro di suono caratteristico dell’intero “Brotherhood”, troviamo una chitarra che riprende per filo e per segno la melodia portante di “Love Will Tear Us Apart”.

Ad aprire le danze del lato B ““ ovvero quello totalmente dedicato all’anima elettronica della band ““ è un super-classico: “Bizarre Love Triangle”, il singolo del successo americano per Bernard Sumner e compagni. Gli intrecci robotici tra sequencer, tastiere e drum machine non intaccano in alcun modo l’estrema dolcezza espressa in questa eccentrica canzone d’amore, che arriva a farsi persino commovente nei passaggi sorretti dal basso solista di Peter Hook e in quelli in cui un Sumner col cuore dolorante supplica la terza incomoda del triangolo di farsi avanti per prima, in modo tale da sollevarlo dalle terribili turbe emotive che lo affliggono (I’m waiting for that final moment/You say the words that I can’t say).

Nella lunga e ipnotica “All Day Long”, gli svolazzi classicheggianti dei sintetizzatori di Gillian Gilbert danno profondità  e aggiungono colore a un ininterrotto flusso sonoro dalle fortissime tinte psichedeliche che deve più di qualche idea ai Velvet Underground. Una traccia spiazzante, come in parte lo è anche quella successiva: la danzereccia “Angel Dust”, che inizia come il più tradizionale numero synth-pop di scuola “’80s per poi disgregarsi tra le percussioni tribali di Morris e un assolo di chitarra dal sound corrosivo di Sumner.

Bastano pochissimi secondi per rendersi conto che “Walk On The Wild Side” di Lou Reed è il modello di riferimento per la conclusiva “Every Little Counts” ““ più uno scherzo che un vero e proprio brano, con il frontman che non riesce a trattenere delle risatine isteriche al momento di intonare i versi più assurdi (I think you are a pig/You should be in a zoo). Eppure anche un divertissement leggero leggero come questo, nelle mani degli infallibili New Order di “Brotherhood”, riesce a trasformarsi in una delizia per le orecchie, che scivola via sinuosa tra atmosfere eteree, synth che simulano il pizzicato degli archi e coretti digitalizzati.

Data di pubblicazione: 29 settembre 1986
Tracce: 9
Lunghezza: 37:07
Etichetta: Factory Records
Produttori: New Order

Tracklist:
1. Paradise
2. Weirdo
3. As It Is When It Was
4. Broken Promise
5. Way Of Life
6. Bizarre Love Triangle
7. All Day Long
8. Angel Dust
9. Every Little Counts