Che i tre componenti dei Police non siano mai andati troppo d’accordo tra di loro è storia nota. L’intera carriera della band britannica è stata segnata da lotte gerarchiche, conflitti personali e visioni artistiche diametralmente opposte. A dimostrazione di queste profonde spaccature, le idee totalmente opposte di Sting e Andy Summers sul quarto album “Ghost In The Machine”, in larga parte registrato nei leggendari Air Studios di Montserrat con la preziosa guida del super-produttore Hugh Padgham.
Per il primo si tratta di un’opera sperimentale, coraggiosa e assolutamente non commerciale, nata nel più totale disprezzo per le indicazioni e le pressioni ricevute dalla casa discografica. Per il secondo, invece, rappresenta una cocente delusione: i sempre più frequenti capricci del biondo frontman, desideroso di imporsi una volta per tutte sui compagni, e l’introduzione in dosi massicce di synth e strumenti a fiato avrebbero spezzato per sempre l’armonia nel trio, deformandone il sound fresco e genuino degli esordi.
La verità , a mio modesto parere, sta nel mezzo. Il pop rock mutante e dal retrogusto elettronico di “Ghost In The Machine” si pone esattamente a metà strada tra la naturalezza dalle tinte reggae/post-punk dei Police fine anni ’70 e la ricchezza stilistica del raffinato “Synchronicity”, ahinoi canto del cigno del talentuosissimo trio.
Un album di transizione in grado di stupire e al tempo stesso rassicurare l’ascoltatore, che sin dalle battute inziali si ritrova quasi sballottato tra gli inquietanti accordi minori delle tastiere in levare di “Spirits In The Material World” e la serenità del sontuoso pianoforte che accarezza le strofe della hit “Every Little Thing She Does Is Magic”.
Le nubi del conflitto nordirlandese attraversano le note oscure e pesanti di “Invisible Sun”, una traccia che cresce di intensità seguendo le evoluzioni delle percussioni di Stewart Copeland. Dietro il testo politicamente impegnato, piccoli indizi delle crisi depressive che da sempre attanagliano il povero Sting (There has to be an invisible sun/That gives us hope/When the whole day’s done).
Ma nessun sole invisibile sembra davvero riscaldare il cuore del frontman dei Police, che cela le proprie debolezze dietro le asprezze rock di “Hungry For You” ““ quasi interamente interpretata in lingua francese ““ e della martellante “Demolition Man”, che ci regala un bel riff ficcante – ossessivo e dal gusto hard/blues – attorniato da dei sax “ubriachi” che potrebbero benissimo esser spuntati fuori dalla peggior bettola jazz. Siamo anni luce avanti rispetto alla plasticosa versione registrata da solista nel 1993 e inclusa nella colonna sonora dell’omonimo film fantascientifico con Sylvester Stallone e Wesley Snipes.
Qualcuno se lo ricorda? Trattasi di un divertente blockbuster d’azione pieno zeppo di violenza e volgarità , di tanto in tanto illuminato da una sagace verve critica inerente gli eccessi del politicamente corretto, lo strapotere delle multinazionali e la sterile deriva ipertecnologica della società moderna. Temi più o meno simili, per quanto strano possa apparire, li ritroviamo in numerosi brani di “Ghost In The Machine”.
Le parole di “Too Much Information”, tanto per fare un esempio, profetizzano in maniera assai lucida e schietta i rischi dell’odierna infodemia (Too much information running through my brain/Too much information driving me insane). Ma gli innumerevoli orrori del mondo ricoprono ruoli da protagonisti anche nella scoppiettante “Re-Humanise Yourself” (estrema destra, fordismo e sicurezza), nella reggaeggiante “One World (Not Three)” (diseguaglianze nell’era della globalizzazione) e in un mancato singolo tremendamente orecchiabile come “Omegaman”, una canzone su solitudine ed emarginazione scritta da un Andy Summers particolarmente ispirato.
A spazzare via ““ almeno momentaneamente – l’amarezza sin qui accumulatasi sono gli eterei tappeti di synth che fanno da introduzione a “Secret Journey”, un viaggio psichedelico sulle strade del pop rock intriso di misticismo e spiritualità . Il percorso ascetico dei Police targati 1981 si interrompe però bruscamente con la conclusiva “Darkness”, frutto del genio musicale del leggendario Stewart Copeland.
Una traccia ipnotica, alienante e incredibilmente malinconica con un ritornello ultra-sconfortante che colpisce duro come un macigno: I wish I never woke up this morning/Life was easy when it was boring. Vorrei non essermi mai svegliato stamattina/La vita era facile quando era noiosa. Pochi, semplici versi per delineare il profilo dell’uomo del ventunesimo secolo: un fantasma intrappolato in una macchina.
Data di pubblicazione: 2 ottobre 1981
Tracce: 11
Lunghezza: 41:03
Etichetta: A&M
Produttori: The Police, Hugh Padgham
Tracklist:
1. Spirits In The Material World
2. Every Little Thing She Does Is Magic
3. Invisible Sun
4. Hungry For You (J’Aurais Toujours Faim De Toi)
5. Demolition Man
6. Too Much Information
7. Re-Humanise Yourself
8. One World (Not Three)
9. Omegaman
10. Secret Journey
11. Darkness