Ama cambiare pelle, stile, aspetto fisico Alexandra Levy in arte Ada Lea che tre anni dopo l’esordio “What We Say In Private” propone undici nuovi brani scritti a Banff (Alberta, Canada) registrati a Los Angeles con Marshall Vore (Phoebe Bridgers, Ryan Adams) nelle vesti di produttore. Un disco ancora più intimo e personale del precedente, che abbandona le tentazioni indie rock per spostarsi su toni indie pop e folk.
Atmosfere strettamente legate alla città di Montreal dove la Levy è cresciuta, la versione fisica dell’album è infatti accompagnata da una mappa che ripercorre i luoghi che hanno ispirato “One Hand On The Steering Wheel The Other Sewing A Garden”. Geografia fisica e dell’anima in cui trova spazio anche la passione per Elena Ferrante in frammenti musicali che passano da una stagione all’altra, da un ricordo al successivo guidati dall’istinto e dall’emozione.
Il party di Capodanno raccontato in “damn” fa da sfondo a “partner” diventando il filo conduttore di un album che osa con il synth pop in odor di new wave di “can’t stop me from dying” e il falsetto di “oranges” orecchiabili si ma non sempre efficaci. I momenti più coinvolgenti e convincenti restano quelli in cui Ada Lea declina la sua indole confidenziale in chiave elettro acustica (“saltspring”, “writer in ny”, “violence”) e in modo più lineare (“my love 4 u is real”) prima del gran finale, la splendida “hurt” che rimette tutto in gioco.
Alexandra Levy decide di aumentare le possibilità sia narrative che musicali, sovrapponendo spesso demo e tracce registrate in studio con effetti a volte stranianti altre curiosi (l’arrangiamento di “backyard”). L’esigenza di cercare il ritornello giusto diventa meno pressante sostituita da una fragilità che fa parte dello stile di Ada Lea e della sua personalità , in un mix dal buon potenziale non sempre messo a fuoco in quaranta minuti che procedono a corrente alternata.