Il nuovo disco dei Blankenberge arriva così, praticamente dal nulla, con pochissimo preavviso e una sola anticipazione. I ragazzi sono shoegaze e introversi pure nella promozione del loro nuovo album, verrebbe da pensare. E’ un male? Ma figurarsi. Quello che conta è la magia che finalmente possiamo ascoltare, perchè al terzo lavoro sulla lunga distanza i ragazzi di San Pietroburgo volano altissimi e ormai recalamano (e meritano) a gran voce un posto tra le band più importanti dello shoegaze mondiale. Per il disco precedente ci eravamo spinti a definirlo un vero e proprio classico moderno, capace di competere con i pilastri che hanno forgiato un genere e per “Everything” ci sentiamo in dovere di ribadire la cosa.
Un albero stilizzato ci accoglie in copertina e quelle minuscole foglie colorate ci lasciano già intendere che il mondo sonoro della band non sarà nemmeno questa volta in bianco e nero, ma carico di sfumature e suggestioni. Il suono è potente ma così pieno di grazia e candore che ci lascia senza fiato, tanto quanto la batteria di Sergey Vorontsov picchia solida così la voce di Yana Guselnikova diventa anticamera e porta di passaggio per il paradiso, quando i sogni si trasformano in musica per arrivare all’anima, non solo alla mente.
Non c’è un momento che non dia i brividi. Chitarre sature che ci avvolgono disegnano percorsi incantevoli che la ritmica tratteggia e consolida con andamenti vivaci e sostenuti che danno un senso continuo e costante di movimento. Il disco stesso vive, respira e si muove: un cuore pulsante che batte forte, che ci rimbomba nelle orecchie mentre il rumore ci sovrasta e la melodia compare, dolce come una carezza, necessaria come il sorriso della persona amata, toccante come l’abbraccio che aspettavamo per cancellare il dolore.
I Blankenberge, come dicevo sopra, si librano su vette magistrali fin da “Time To Live”, con quella sospensione iniziale così poetica che sembra di risentire i Cocteau Twins e poi ecco il marchio di fabbrica della band, quella potenza, quella batteria che picchia, ma ad emergere non è la forza, bensi la dolcezza, la beatitudine totale. Incredibile come la band russa riesca sempre a trasmettere questa sensazione. “No Sense” ci era già nota ed è forse la canzone “più classica” dei ragazzi, una melodia di altissima scuola con un ritornello da brividi, mentre il basso ci rimbomba nelle orecchie. Io non riesco a non commuovermi ogni volta che la sento. La doppietta “Different” e “Forget” è qualcosa che non si riesce più a dimenticare, nemmeno dopo aver smesso di ascoltare il disco da un po’. La prima è incalzante e con un climax sonoro impressionante, che si consolida in saliscendi rumorosi che ci inebriano, mentre “Forget” è più avvolgente e dal taglio quasi alla Mogwai, un post-rock visionario e magico che affascina. Nella title track Yana è una sirena che ci cattura con la sua voce, mentre tutto intorno è melodico fragore, ma noi non riusciamo a staccarci da quel filo vocale. “Summer Morning” ha una melodia che definire cristallina è dire poco.
“Kites” è cupo e suggestivo momento di passaggio, prima dell’ uno-due finale ancora di livello sopraffino. “So High” è qualcosa di spaziale, qualcosa che oserei definire trascendentale, portandoci completamente fuori dallo spazio in cui stiamo ascoltando l’album, qualcosa che solo dei fuoriclasse possono fare, mentre con “Fragile” abbiamo quello che potremmo definire un classico del genere, con un brano che va in crescendo per toccare il suo picco nel centro e poi calare di nuovo, ma per i Blankenberge anche il classico diventa materia di studio e di personalizzazione, in primis sul lavoro della batteria che è così emozionante, con questo forte lavoro sui piatti e poi quell’assolo di chitarra inaspettato prima che l’onda si alzi e s’infranga contro di noi, assolutamente ipnotizzati e poi ecco la lenta e morbida discesa, con i pezzi che tornano al loro posto e ancora quell’assolo che stavolta indica che si sta andando vero la chiusura…io non ho più parole, sono completamente in estasi.
Signori e signore, il disco dell’anno è qui. I Blankenberge ormai non hanno più confini…
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