Uno sguardo verso il passato, verso quelli che erano solamente sogni ingenui e infantili, ma che adesso sono divenuti certezze. Testimonianza, dunque, che vale più di mille parole e che, oggi, si trasforma in un nuovo disco, in uno spettacolo teatrale, in un messaggio di incoraggiamento e fiducia verso tutti noi, oltre che in una toccante lettera d’amore d’una madre verso il proprio figlio. Perchè, in fondo, le cose che contano sono le cose di sempre: la capacità di non perdere di vista le proprie passioni e il tempo che dedichiamo ai nostri affetti più cari. Solo così potremo sentirci veramente appagati e quindi felici, indipendentemente dalle abbaglianti promesse di potere, ricchezza e successo con le quali queste oscure eminenze, questi uomini neri travestiti da ammalianti maghi e sorridenti incantatori, cercano di corromperci, imprigionandoci in una vita che è solamente stress e affanni, oltre che una serie infinita di rate che paghiamo col nostro prezioso tempo, con le nostre migliori energie, con la nostra creatività , con tutto l’amore che sottraiamo a coloro che, invece, ne meriterebbero di più.
Abbiamo avuto paura, è vero. Ma questo invisibile nemico ci ha dato la possibilità di capire com’è brutta e distruttiva la solitudine. Ora la scelta finale sarà solo nostra, Carmen Consoli ce lo trasmette chiaramente nel primo atto del suo spettacolo, intitolato “Il Sogno”. Da un lato abbiamo l’abbraccio confortevole di “Le Cose Di Sempre”, le sognanti armonie di “L’Aquilone”, quei ricordi carichi di romanticismo e di malinconia che pervadono “Volevo Fare La Rockstar”; dall’altro lato abbiamo le illusioni, le apparenze e le visioni virtuali tramite le quali i dispotici burattinai di “L’Uomo Nero” e “Mago Magone” vogliono portarci via l’anima. Quale sarà la nostra scelta? Avremo ancora i nostri sogni da coltivare o sarà qualcun altro a sognare per noi?
Al Teatro Augusteo di Napoli è andato in scena un racconto personale, ma anche collettivo; una narrazione umana suddivisa in tre parti ben definite, sia concettualmente, che musicalmente. Il suo momento più elettrico e rockeggiante è senz’altro rappresentato dal secondo atto, intitolato “Gli Anni Mediamente Isterici”, quando, accanto ai brani storici dell’artista catanese, fa il suo ingresso in scena anche una splendida Marina Rei alla batteria, mentre l’ultima parte è dedicata all’amicizia, un valore che, in questa nostra società così disgregante, individualista e materialista è spesso messo in ombra, rendendolo un banale scambio di convenienze e favori reciproci, qualcosa che non ha assolutamente nulla a che vedere con l’affetto disinteressato, ma che ci fa solamente cadere in basso, sempre più in basso. E se ci sembra di sprofondare, altre vite ed altre esistenze possono esserci di sollievo, guida ed esempio e fornirci l’appiglio cui aggrapparci per diventare migliori. Intanto le note di “Stranizza d’Amuri” si diffondono per la sala del teatro partenopeo e sullo schermo compare l’immagine di un poeta e un maestro: Franco Battiato è lì sul palco, con i suoi versi, il potere ricreativo dell’Etna nella terra del Vesuvio, i suoi sentimenti e quella amorevole febbre che ti entra nella ossa.
Le canzoni di Carmen Consoli entrano in rotta di collisione con tutto quello che è puro opportunismo e l’ultimo atto, ormai svincolato dalle falsità del presente, conscio delle gioie, ma anche delle amarezze custodite dal passato, può essere finalmente rivolto, con rinnovata speranza, verso il futuro. La gemma finale di una serata unica è lasciata alla voce di Marina Rei che, accompagnata da Carmen Consoli alla chitarra, dona al pubblico presente una energica versione di “Je Sò Pazzo”, nella consapevolezza che saranno, appunto, l’amore e la follia a salvarci dal declino.