Dopo un convincente ed acclamato album d’esordio, la band belga dei Slow Crush torna con  “Hush” ad allietare i sempre più ricercati palati dei fan “shoegazer“. Questo sophomore troverà  terreno fertile tra i sostenitori di tale genere che molto spesso, purtroppo, si alimenta con imprescindibili clichè. Districarsi, poi, tra le sempre più copiose uscite di genere degli innumerevoli artisti che riversano il climax shoegaze/dream-pop-rock nello scenario indie attuale, diventa arduo anche per noi addetti ai lavori.

Gli Slow Crush, sebbene non apportino particolari innovazioni al sound tipico, riescono in maniera sublime a coinvolgere ed ammaliare con emozionanti e sognanti note di torpore sin dal primo approccio con una deliziosa “Drown” ad aprire l’intensa esperienza sonora che ci aspetta con lo scorrere della tracklist di questo “Hush”.

Se con il debutto “Aurora” il quartetto aveva messo in luce spiccate doti compositive, nei quarantacinque minuti di “Hush” le sonorità  si fanno ancora più apprezzare per l’evidente gran lavoro svolto dalla band la quale ha saputo, come tante altre peraltro, raccogliere i momenti drammatici della pandemia per trasformarli in qualcosa di personale ed introspettivo e riversarli, dunque, in testi e musica, in questo caso di assoluto livello.

L’ambientazione cupa e malinconica che segna il leitmotiv dell’album, d’altronde, è figlia dell’intricata gestazione che lo stesso ha dovuto subire a causa della partenza dapprima di due membri della band nonchè, poi, per la sparizione della vecchia etichetta discografica. Tuttavia per la frontwoman e bassista Isa Holliday e per Jelle Harde Ronsmans, alla chitarra, le predette vicissitudini hanno giovato alla costruzione di “Hush” ed i riverberi prodotti dai potenti brani di pura matrice shoegaze come “Blue”, “Swivel” e, soprattutto, dai fluttuanti sei minuti e mezzo della title track e in quelli di “Lull” che rappresenta uno dei momenti più alti del disco, ne sono un esempio cristallino.

Prodotto dagli stessi Slow Crush – che oltre ad Isa Holliday e Jelle Harde Ronsmans, si completano con gli ottimi elementi Frederik Meeuwis e Jeroen Jullet – insieme a Sebastian Omerson e Neil D. Kennedy e registrato nel gennaio 2021 ai Number Nine Studios di Gent, in realtà  questo “Hush” regala emozioni ancora più stratificate laddove ai riff intrisi di riverbero si aggiungono le note sobrie e sopite di una bellissima “Gloom” o le sinistre sonorità  di “Ràªve”, la mia preferita, che incontrano la visionaria e nostalgica voce di Isa, la quale tra una linea di basso e l’altra mostra una bravura non di poco conto.

E così, mentre “Thrill” varca soglie di Mogwai memoria, all’energica “Swoon” spetta il compito di aggiungere un po’ di pepe al disco laddove, infine, i frastuoni della closing track “Bent And Broken” chiudono, ahimè, la magnifica esperienza vissuta in questi dieci episodi.