Nove anni dopo “Fortune” torna in veste solista il buon Robin Guthrie che come al solito suona tutti gli strumenti in un album di note lucide e riflessive, nate a margine del periodo pandemico per far sedimentare sentimenti e impressioni, emozioni e punti di vista. Privato della possibilità di viaggiare, da sempre una fonte d’ispirazione importante, Guthrie ha reagito lasciando spazio all’introspezione, ai ritmi evocativi suggeriti da un mondo costretto improvvisamente a fermarsi.
Il risultato è una lunga suite divisa in dieci tracce, ciascuna con la sua identità ma fuse perfettamente in un discorso musicale unico, reso uniforme dalle tastiere che punteggiano ogni brano e spiccano in arrangiamenti spesso minimali, indubbiamente eleganti. Non ha bisogno di parole Robin Guthrie, è di un album strumentale che stiamo infatti parlando, ma si rivela ancora una volta capace di tratteggiare piccole storie, mondi incantati, senza calcare troppo la mano in composizioni di tre ““ quattro minuti.
Ha il dono della leggerezza l’ex Cocteau Twins che già lo scorso ottobre aveva pubblicato a sorpresa l’EP “Mockingbird Love”, prima di una serie di uscite in programma nei prossimi mesi. “Pearldiving” segue a stretto giro di posta quei primi quattro brani e rilancia con grazia, quella di “Ivy”, “Oceanaire”, “Ouestern”, “Kerosine” e “The Amber Room”. La mano è sempre la stessa che ha suonato in dischi come “Garlands” e “Treasure” impegnata nel nuovo capitolo di una carriera solista che forse genera meno attenzione rispetto a quella di Simon Raymonde ma sempre di gran livello.
Credit Foto: Violette Guthrie