Se vi capiterà  di leggere in qualsiasi posto la biografia degli Arctic Monkeys, leggerete come Turner e amici siano partiti con gli ascolti ed il desiderio mimetico verso gente come The Strokes, Oasis, Vines, White Stripes e compagnia cantante. Nomi che a loro volta avevano come numi tutelari The Who, The Kinks, Television, The Clash, The Smiths e via discorrendo. Solo che il tempo passa e allora i The Reytons si trovano a volere diventare proprio i nuovi (primi) Arctic Monkeys (anche loro del South Yorkshire, à§a va sans dire) con tutta la voglia possibile.

Basterebbe questo per descrivere questo esordio sulla lunga distanza per la band inglese, preceduto da manciate e manciate di singoli e pure un EP (nel buglione finisce anche “Slice of Lime” del 2017, oltre che roba già  sentita e da noi prontamente riportata). 14 tracce, 44 minuti di tiro indie rock dove il grado di innovazione sta all’azimuth, ritmi indiavolati in cerca di una propria personalità  rincorrendo incastri melodici, che faranno pure probabilmente breccia nel mercato inglese specie tra la gente come meno primavere in cerca di coeve band del cuore.

Sono giovani, li abbiamo seguiti praticamente dai loro inizi, sono carichi, l’album tira dritto senza intoppi, gli vogliamo pure bene: però devono diventare i The Reytons, soprattutto per loro stessi. Di epigoni in giro ce ne sono davvero troppi. Da un bel po’, un po’ di tutto.

Così forse si passa alla cassa. Non di sicuro alla storia.