#10) MARINA
Ancient Dreams In A Modern Land
[Atlantic Records]
Dopo la delusione che si è rivelata “Love + Fear”, “Ancient Dreams In A Modern Land” non poteva non risollevare i fan di MARINA in modo migliore. Il suo quinto album si potrebbe definire come un riassunto ben costruito di tutta la sua carriera, dato che è riuscito a unire le parti migliori di ogni disco dell’artista inglese. Basti pensare alla spassionata onestà di “The Family Jewels”, la leggerezza e l’ironia di “Electra Heart”, l’estetica di “Froot” (unita a quella dei primi anni 2000, da vera fan di Britney) e l’impegno politico di “Love + Fear”. Una MARINA evoluta, che però rimane saldamente attaccata alle sue radici.
#9) TYLER, THE CREATOR
CALL ME IF YOU GET LOST
[Columbia Records]
Per molti aspetti non si tratta dell’album più forte del rapper americano, ma quest’ultimo e il suo nuovo alter ego Sir Baudelaire sono sicuramente riusciti a presentare un disco ben strutturato, benchè caotico. Scelta curiosa, ma non casuale: il protagonista di “CALL ME IF YOU GET LOST” presenta tendenze narcisistiche, ironizza senza esitazione sulla sessualità e ostenta la propria ricchezza per nascondere la sua ossessiva ricerca di emozioni da provare. Certo, non mancano riflessioni e critiche sociali, ma bisogna pur tenere a mente chi si trova al centro di questa storia dalle mille sfaccettature, a tratti confusa, come se il nostro protagonista in realtà fosse alla ricerca della sua identità (e qui si spiega la copertina del disco): Tyler Baudelaire. Un decadente contemporaneo, un personaggio che crea e ama l’arte per l’arte. “Call Me If You Get Lost” risulta dunque molto ego riferito, a volte confusionario, ma pezzi come “SWEET / I THOUGHT YOU WANTED TO DANCE” sono destinati a lasciare un segno nella discografia del rapper.
#8) HALSEY
If I Can’t Have Love, I Want Power
[Capitol Records]
E chi l’avrebbe mai detto che la popstar delle hit preferite da chi è cresciuto a pane e Tumblr avrebbe sfornato uno degli album dell’anno? Se con “Manic” era percepibile una voglia di maturare e non fare semplice musica per sedicenni incompresi, con il nuovo disco Halsey si è superata, e ha finalmente osato quel tanto che bastava per dare vita al suo album migliore finora. Che “If I Can’t Have Love, I Want Power” segni una svolta nella carriera dell’artista, che pare ormai pronta a darsi al panorama rock? è una tendenza già anticipata dal singolo “Experiment On Me”, scritto per il film “Birds of Prey”, ma sicuramente possiamo affermare che se la collaborazione con Trent Reznor continua così, ci auguriamo vivamente che Halsey continui in questa direzione.
#7) JAPANESE BREAKFAST
Jubilee
[Dead Oceans]
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Ascoltare “Jubilee” è come abbracciare qualcuno da ubriachi in un periodo particolarmente triste della propria vita. è confortante, necessario e dall’effetto calmante, nonostante il malessere di sottofondo. è un album sulla felicità e sul tentativo di ricercarla in ogni cosa, come nel semplice fatto di poter fare musica e farla ascoltare al mondo intero ““ come l’artista canta con leggerezza in “Paprika”, non a caso l’opening track del disco. Tra hit synth pop come “Posing In Bondage”, l’ironica “Savage Good Boy” e ballad dal sapore agrodolce (“In Hell”), miss Zauner non ne ha sbagliato una.
#6) SAM FENDER
Seventeen Going Under
[Polydor Records]
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Ormai siamo tutti pazzi per Sam Fender, e nessuno lo può negare ““ o darci torto. Il secondo disco “Seventeen Going Under” da subito dà il massimo con l’omonima, gloriosa title track: una dichiarazione poetica che fa ben capire dove vuole andare il giovane britannico, la sua fame e la voglia di prendersi ciò che gli spetta. Pur non proponendo nulla di particolarmente nuovo o rivoluzionario, non è difficile immaginare perchè stia trionfando nelle classifiche estere. Tracce molto orecchiabili, perfette per andare in radio e farsi amare persino dai più accaniti fan di Springsteen (di cui è stato persino definito erede). Sicuramente, le aspettative per il terzo disco saranno alte, ma dopotutto, come lui stesso canta in “Getting Started”, è solo agli inizi ““ anche se sta già lavorando duramente.
#5) BROCKHAMPTON
Roadrunner: New Light, New Machine
[Question Everything, Inc.]
Se questo è davvero l’ultimo album del collettivo hip hop guidato da Kevin Abstract, il suo percorso non poteva concludersi con un disco più emotivo e maturo di questo. Ci sono collaborazioni eccellenti come quella con A$ap Rocky e A$ap Ferg (“BANKROLL”) e JPEGMAFIA (“CHAIN ON”), non manca lo stile vario ma unico nel suo genere, da sempre caratteristica nei lavori del gruppo. Protagonista assoluto del disco è Joba, che insieme ad Abstract in “THE LIGHT” e “THE LIGHT PT. II” riesce a creare un’atmosfera sognante, malinconica, soprannaturale; non a caso, si tratta di una riflessione sulla vita e sulla morte che parte proprio dal suicidio del padre di Joba. Che sia davvero la fine dei BROCKHAMPTON o meno, possiamo dirci onorati di aver assistito all’evoluzione di uno dei gruppi più rilevanti del panorama hip hop contemporaneo.
#4) STILL WOOZY
If This Isn’t Nice, I Don’t Know What Is
[Interscope Records]
Dopo il successo dei 12 singoli antecedenti all’uscita dell’album di debutto, le aspettative per “If This Isn’t Nice, I Don’t Know What Is” erano davvero alte. Gamsky è riuscito a superarle? No. Il disco merita comunque di essere ascoltato e goduto traccia per traccia? Assolutamente sì. Nel complesso è coerente, ogni pezzo si lascia tranquillamente ascoltare e ti prende per un motivo o per un altro. Detto questo, sappiamo bene che Sven ha un potenziale ben più grande di quello mostrato nel disco, resta solo vedere se riuscirà a tirarlo fuori nei suoi prossimi lavori.
#3) LITTLE SIMZ
Sometimes I Might Be Introvert
[Age 101]
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Ve lo avevamo già detto nella nostra recensione: “Sometimes I Might Be Introvert” è davvero uno degli album dell’anno. Miss Ajikawo ha dato vita a un disco maturo che spazia dall’hip hop al synth pop, che raccoglie le esperienze di vita di una ragazza che, nonostante non abbia neanche trent’anni, ha già innumerevoli storie da raccontare, ognuna unica nel suo genere. Storie di baby gang, di padri egoisti, di una ragazza introversa che solo con la musica è riuscita a tirare fuori il suo punto di vista riguardo un mondo all’apparenza gigantesco, ma troppo piccolo per contenere una mente e un animo di tale immensità .
#2) DRY CLEANING
New Long Leg
[4AD]
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Per qualcuno che non conosceva i Dry Cleaning (ma con cui abbiamo avuto il piacere di chiacchierare in passato qui) ““ ma che, anzi, li ha conosciuti solo quest’estate grazie a una magistrale esibizione dal vivo al TOdays Festival, “New Long Leg” è stata la scoperta dell’anno. Testi ironici che scorrono come flussi di coscienza grazie all’ipnotico talk singing di Florence Shaw, sound post-punk dalla grande ““ ma non eccessiva ““ ambizione. Tra la Brexit e le sue conseguenze, filtri Instagram e canzoni che solo apparentemente sono un riferimento a pilastri della cultura pop odierna (vi dice nulla “John Wick”?), “New Long Leg” ci fa decisamente venir voglia di stare a vedere cosa ci offrirà in futuro questo particolare quartetto inglese.
#1) ARLO PARKS
Collapsed In Sunbeams
[Transgressive Records]
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Qui forse sono tremendamente di parte, dato che quello di Arlo Parks è uno degli ultimi concerti a cui ho avuto il piacere di assistere dal vivo. Voce calda, a tratti angelica; ho potuto solo assistere in estasi a ciò che l’animo di una poetessa intrappolato nel corpo di una ragazza appena ventenne è capace di fare. Non che mi aspettassi di meno dalla mente dietro la creazione di un album come “Collapsed In Sunbeams”, anzi. L’ascolto del disco si conferma, di volta in volta, un’esperienza unica racchiudibile solo nell’immagine di una ragazza di appena ventun anni che trascrive i suoi segreti in poesie e affida al vento il compito di sussurrarli alla persona amata, mentre gli ultimi raggi di sole della giornata le illuminano il volto. Davvero il disco dell’anno, insomma.