Sono passati quasi ben 15 anni dal primo, e grandissimo, album della band di Liverpool The Wombats: forse ti ricordi, caro lettore che stai leggendo, quanto “Let’s Dance To Joy Division” ti faceva saltare nella tua cameretta da sfigato che ascoltava musica diversa dai tuoi coetanei. Da lì in poi l’amore per questa band è cambiato? Io non credo proprio, perchè in un modo o nell’altro la band formata da Murphy, Knudsen e Haggis non ti deluderà mai.
Possiamo considerare questo quinto album come il sunto di questi 15 anni: non troveremo in nessuna traccia una sola influenza del loro passato, ma un mix ben amalgamato e poi costruito a puntino. Come sempre ci sono tracce e tracce: l’unica pecca di questo gruppo, ma come anche altri, è il fare un album nel complesso ottimo con al suo interno, però, qualche canzone che tira meno l’ascoltatore.
Infatti, bisogna partire dai singoli. Canzoni come “Method To The Madness”, “If You Ever Leave Me I’m Coming With You” e “Ready For The High” alzano le aspettative pre uscita del disco, pensando ad un graditissimo ritorno cazzuto da parte della band. In verità , e quasi sempre, il disco è composto anche da canzoni meno convincenti che (questa è una mia teoria con alcune band) arrivano sempre ad essere poste verso la fine. Prendiamo per esempio “Everything I Love Is Going To Die”: un riff di chitarra ripetuto per tutta la durata del brano, tastiere sotto che ricordano un po’ il loro secondo lavoro ma anche un po’ “Turn” del precedente. Eppure, non lascia il segno perchè già sentito.
Tratto distintivo è il fantastico falsetto (a volte poco riuscito dal vivo) di Murphy che, ripetutamente, troviamo per tutto l’album e che un po’ fa “feels like we only go backwards”. Quel falsetto che fa piacere risentire in “Wildfire” che di feels ci fa tornare invece al terzo album, e sottovalutato, “Glitterbug”.
La produzione del disco è avvenuta ovviamente a distanza, causa quel maledetto covid-19 che non mi fa ancora tornare ai concerti. Ognuno registrava il pezzo e lo inviava agli altri sparsi tra Europa e USA. Altro tratto distintivo la cover album, creata da un collettivo tedesco-americano chiamato eBoy. La copertina è effettivamente geniale, un mondo pixelato da anni ’90, usabile in ogni sua declinazione per cose strane come sanno fare solo loro.
Nel complesso quindi questo è un buon album di inizio 2022 e sicuramente non potevamo chiedere di meglio da loro. The Wombats, ancora una volta, sanno come sfornare un lavoro che ci fa ballare, saltare e venir voglia di pogare. Se questo è da considerarsi il loro sunto di questi anni, non ci resta che aspettare cosa ci riserverà il futuro. Una cosa è certa però: mantengono alta la bandiera dell’indie rock made in UK facendosi paladini di un genere che evolve ogni giorno e che spesso, e purtroppo, cambia.