Nel pensiero comune il periodo d’oro di David Bowie finisce negli anni 80, per la precisione con “Let’s Dance” album e singolo spesso non particolarmente amato dai fan della prima ora e soprattutto dalle successive generazioni.
In realtà nel mio caso fu l’album successivo a deludermi, “Tonight” era abbastanza imbarazzante per un artista del suo calibro, e mi ha trasmesso per la prima volta la sensazione che la creatività e la capacità progettuale di David Bowie si fosse esaurita.
Una convinzione basata sul passato e non sul futuro che all’epoca non conoscevo, ma che sembrava anche rafforzata dal suo interesse per una carriera da attore, con partecipazioni in vari ottimi film che sembravano assorbirlo.
Ovviamente non me ne perdevo nessuno, così me lo ritrovavo invecchiare in poche ore (“Miriam si sveglia a mezzanotte” di Tony Scott, 1983), affascinante prigioniero di guerra (“Furyo” di Nagisa ÅŒshima, 1983), elegante killer inglese (“Tutto in una notte” di John Landis, 1985), re dei Muppets (Labyrinth – Dove tutto è possibile di Jim Henson, 1986) e freddo Ponzio Pilato ( L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese, 1988).
Gli anni 80 musicalmente se ne andranno senza particolari sussulti ma già negli anni 90 qualcosa stava cambiando, prima “Black Tie White Noise” poi l’ottimo “1.Outside” con il ritorno di Brian Eno avevano certificato il suo ritorno a produzioni scintillanti e infine due anni dopo ecco “Earthling” .
“1.Outside” aveva riacceso il mio interesse per Bowie e l’uscita dei due singoli, “I’m Afraid of Americans” e “Little Wonder” avevano fatto il resto, tornava l’entusiasmo per l’uscita di un album di David Bowie.
I brani erano stati accompagnati da due ottimi video, “Little Wonder” aveva la regia di Floria Sigismondi artista nata a Pescara che nella sua carriera ha realizzato video assolutamente fantastici, diversi per Bowie, e alla quale magari dedicheremo qualcosa in futuro.
Bisogna dire che “Earthling” non convinse tutti, la scelta di Bowie di pubblicare qualcosa che rielaborasse il sound in voga nel periodo, che si esprimeva nel drum’n’bass, nella techno, nella cultura rave e in band come i Prodigy e i Chemical Brothers, sembrò una scelta azzardata, non avevamo più di fronte un trentenne che prendeva il Krautrock e lo trasformava, Bowie aveva cinquant’anni e seguire il giovane sound del momento sembrava fuori luogo.
Non la pensavo allo stesso modo, gli anni novanta mostravano una certa vitalità e il fatto che Bowie tornasse a farne parte con forte personalità mi incuriosiva, si tornava ai vecchi tempi e la speranza di ritrovarlo protagonista cresceva.
Bisogna comunque però riconoscere che le canzoni di questo album, arrangiate in modo diverso senza rincorrere il sound del momento potevano essere altrettanto valide e forse anche migliori.
Era abbastanza evidente che con “Earthling” c’era il tentativo di rientrare con prepotenza nelle classifiche di tutto il mondo ma l’album stranamente non andò come si sperava, nonostante gli ottimi video e i singoli che tutto sommato facevano il loro dovere, l’accoglienza fu tiepida, “Little Wonder” raggiunse una deludente quattordicesima posizione delle classifiche inglesi e fu praticamente ignorato in America, gli altri singoli successivi andarono anche peggio.
Il sound espresso dall’album che voleva raggiungere il grande pubblico non convinse del tutto i vecchi fan, e forse aveva il difetto di non averlo spinto in avanti in modo coraggioso, innovativo e personale come faceva di solito quando elaborava un progetto.
Inoltre l’album non era stato pensato come un concetto unico, ma era in fondo un insieme di brani a volte anche slegati, ” I’m Afraid of Americans” era stato scritto con Eno e veniva dalle sessioni di “1.Outside”, “Telling Lies” era uscito nel 1996 in tre versioni diverse e scaricabili dal sito di Bowie, “Seven Years In Tibet” era uno dei brani più riusciti dell’album e uno dei migliori scritti da Bowie, ma pochi ci fecero caso distratti dalle varie considerazioni sul drum’n’bass.
Su “Seven Years In Tibet” bisogna spendere due parole perchè è sicuramente un brano poco considerato considerata la sua bellezza, venne scritto in collaborazione con Reeves Gabrels e affrontava la tematica dell’oppressione del popolo tibetano che in America in quel periodo aveva ampia risonanza, Bowie, ormai ex buddista, sposò con convinzione la causa tibetana.
Nello stesso anno sarebbe uscito il film con Brad Pitt che aveva come punto di riferimento lo stesso libro letto da Bowie, “Seven Years In Tibet” pubblicato nel 1952, dell’ austriaco Heinrich Harrer ex nazista, alpinista e geografo austriaco.
La cosa singolare è che Bowie realizzò una versione del brano cantata in mandarino che ebbe un grande successo ad Hong Kong stazionando nelle prime posizioni della classifica per lungo tempo.
Nella copertina dell’album Bowie è fotografato di spalle e indossa un cappotto che rappresenta la bandiera britannica, opera dell’artista Alexander McQueen, talentuoso stilista e amico del “Duca bianco”, morto suicida a quaranta anni pochi mesi dopo la morte della madre.
“Earthling” è un buon album che dimostra che il nostro eroe aveva ancora le idee e la capacità di creare ottimi brani, all’epoca lo apprezzai molto anche perchè temevo che il superlativo “1.Outside” fosse solo un episodio favorito dalla presenza di Brian Eno, si era invece finalmente tornati ad aspettare con curiosità l’uscita di un suo nuovo album, e non era poco.
Data di pubblicazione: 3 febbraio 1997
Tracce: 9
Lunghezza: 48:57
Etichetta: BMG
Produttori: David Bowie, Reeves Gabrels, Mark Plati
Tracklist:
1. Little Wonder
2. Looking for Satellites
3. Battle for Britain (The Letter)
4. Seven Years in Tibet
5. Dead Man Walking
6. Telling Lies
7. The Last Thing You Should Do
8. I’m Afraid of Americans
9. Law (Earthlings on Fire)