Tutti hanno sentito parlare del rock progressivo, genere che negli anni ’70 provenne dall’Inghilterra e dominò le classifiche con band come i Pink Floyd, gli Emerson, Lake & Palmer, gli Yes. Ma è uno stile, o piuttosto un’attitudine, come diceva Robert Fripp dei King Crimson, il leader della band che, di fatto, fondò il genere nel 1969? In otto puntate, proviamo a fare una storia di come questa volontà  di fare musica rock “che duri nel tempo” e “progressiva” – nel senso di una volontà  di non sedersi mai sugli allori del successo e continuare a sperimentare, sia proseguita ben aldilà  del periodo d’oro del Prog degli anni ’70. Fino ai giorni nostri, arrivando al “Brixton Sound” e passando dall’Art-rock, il Post-punk, il Post-rock, il Progressive-metal.

QUI LA PRIMA PUNTATA

2. Il periodo d’oro del Prog: i primi anni ’70.

Nella prima metà  degli anni ’70, i gruppi prog dominano le classifiche in Europa come in America. ELP, Jethro Tull, Mike Oldfield, Pink Floyd, Yes furono nomi mainstream che vendettero milioni di vinili, in Europa come negli Stati Uniti,  rivelando ai giovani di quegli anni che la musica rock poteva porsi le stesse ambizioni artistiche della musica classica e del jazz.

Solo dopo “In the Court of the Crimson King” (vedi la prima puntata), il Prog esplose, in termini sia creativi che commerciali, con un’onda che, partendo dal Regno Unito, travolse il mondo. Emerson, Lake & Palmer (ELP), Jethro Tull, Mike Oldfield,  Pink Floyd  Yes inanellarono nella prima meta degli anni “’70 una quantità  di capolavori e ben 17 album nella Top Ten degli Stati Uniti; per non parlare del resto del mondo. I Pink Floyd, con “Atom Heart Mother” (1970), caratterizzato da una suite che occupava un intero lato del vinile e suonata con orchestra e coro, avevano superato la forma canzone derivante dal pop/beat e ormai erano “Prog” a pieno titolo. Nel 1973, con “The Dark Side of the Moon” centrarono un successo planetario: si stima che si tratta del quarto o quinto album più venduto nella storia dell’industria musicale. Un Concept Album che proseguiva nell’evoluzione dalla psichedelia anni “’60, verso un Prog più consapevole, in cui il lavoro in fase di registrazione e missaggio di un ingegnere del suono geniale come Alan Parsons era parte del processo creativo.  

L’importanza della fase “ingenieristica” nella creazione dell’album si riscontra anche con gli Yes, soprattutto nel loro capolavoro “Close to the Edge”, sempre del 1972. Eddy Offord, il loro ingegnere e co-produttore, alla pari di Alan Parsons, ebbe un ruolo fondamentale nel processo creativo della band: lo testimonia la sua fotografia che campeggia, accanto a quella dei membri della band, sul retro-copertina dell’album. Il Rock progressivo fece alzare il profilo di quanti sedevano dietro la consolle negli studi di registrazione, facendo apprezzare la rilevanza creativa del loro lavoro. La notorietà  acquisita con i Floyd, aiutò Alan Parsons ad avere successivamente una propria carriera come musicista e band leader, con un “Prog-pop” originale e di ottima fattura.  

Tutto questo lavoro ai banchi delle consolle in “Close to the Edge”, fu però definito uno “strazio” dal batterista Bill Bruford, determinandolo a lasciare gli Yes. E racconta di quella volta che si addormentò esausto su un divano dello studio osservando il bassista Chris Squire che maneggiava con la consolle per determinare il volume da applicare al suo strumento: ore dopo, Bruford si sarebbe risvegliato per trovare il suo compagno nella stessa posizione alle prese con lo stesso dilemma. Un giornalista mentre visitava la band in studio racconta di aver sentito un botto improvviso: era Eddy Offord svenuto esausto dal lavoro crollando sul banco del mixer. Senza Offord, non ci sarebbe stato il battito del cuore all’inizio di “Trilogy” (1972) degli ELP. Poi ripreso l’anno dopo dai Floyd all’inizio di “The Dark Side”. Oppure, i suoni della natura che aprono e chiudono la suite di “Close to the Edge”. Tutta questa attenzione alla produzione della musica contraddistinguerà  poi molti gruppi della New wave e Art rock dei decenni successivi.

In “Close to the Edge”, la loro opera più celebrata dalla critica, gli Yes uniscono schemi compositivi classici, a interludi nettamente jazz-rock (la Mahavishnu Orchestra era una grande influenza), a assoli e riff di stampo blues. Mettiamoci anche armonie vocali da musica sacra, l’uso di scale diatoniche, organi registrati in chiesa (l’assolo di Rick Wakeman sulla title-track), suoni naturali sintetizzati e ritmi dispari spalmati dappertutto, talora con i diversi strumenti che seguono metriche diverse: abbiamo un compendio del Prog in 37:45  minuti.

Gli Yes avevano in comune con gli ELP, oltre a Eddy Offord alla consolle, il focus sulle notevoli capacita’ tecniche dei loro musicisti, nonchè la megalomania delle loro performance dal vivo, tra strumentazioni abbondanti, effetti speciali e assoli infiniti che sottolineavano, appunto, le capacità  di Keith Emerson, Rick Wakeman, Carl Palmer, Steve Howe e gli altri. In media, i maggiori virtuosi del Prog erano concentrati tra questi due gruppi. Tutta questa megalomania musicale e scenica (oltre che lirica) era condivisa (esasperata?) dai Pink Floyd, seppure per loro senza l’enfasi sul virtuosismo individuale. Questa caratteristica megalomania fu successivamente criticata e considerata, a partire dalla seconda metà  dei “’70, come uno dei motivi del declino del genere. Il Punk, come reazione, si fece un punto d’onore nell’essere una musica suonata con pochi accordi, da ragazzi con scarso talento e nessuna preparazione tecnica. Celebre la maglietta che un membro dei Sex Pistols portava nei concerti: “I hate Pink Floyd“. Anni dopo, i Pistols ammisero che in realtà  erano dei fan del fluido rosa.

Gli ELP ottennero, tra il 1970 e il 1978, 11 dischi d’oro tra Regno Unito e Stati Uniti. Il loro sound puntava innanzitutto sulla grande versatilità  strumentale e compositiva di Keith Emerson, un musicista dalla solida formazione classica ma fluente in tutto lo scibile musicale e innamorato di ciò che la nuova tecnologia in quegli anni andava offrendo ad un tastierista. Una passione condivisa da Rick Wakeman, in virtù della quale arrivo’ a sostituire Tony Kaye negli Yes. Come disse il loro cantante, Jon Anderson: “se un tastierista non sa dare una spiegazione convincente del perchè un Mellotron o un Moog non possano essere suonati in una data canzone, allora forse risposte più appropriate vanno cercate altrove”.

Rimanendo agli ELP, completano il quadro la bellissima voce di Lake, capace di passare da momenti introspettivi/romantici (“Still”….you turn me on”) alla recitazione di potenti inni (“Karn Evil 9”), unita al suo senso della melodia. E, dulcis in fundo, l’impressionante tecnica batteristica di Palmer completava il terzetto perfetto del Prog. A differenza di Bill Bruford, che rimarrà  sempre, nel suo cuore, un jazzista convertito (temporaneamente) al Rock, Palmer e’ un jazzista che diventa rockettaro, prendendo dal jazz ciò che gli torna utile per impressionare l’ascoltatore.

I Jethro Tull infine, ultimo dei 4 gruppi mainstream del Prog, si caratterizzano per le loro radici blues-rock e jazz. Ma già  la forte presenza di uno strumento classico-folk come il flauto indica una possibile via nuova. Dopo il primo disco, sostituito il chitarrista Mark Abrahams con Martin Barre, il front-man Ian Anderson divenne più libero di intraprendere un percorso “prog”. Il secondo album, “Stand Up” (1969) era ancora un album di blues-rock, ma dove apparivano strumenti inusuali per il genere, come flauto e mandolino, oltre che una interpretazione jazzata di una Bourree’ di Bach. E fu già  un numero 1 nel Regno Unito e un numero 20 negli USA. Con “Aqualung”, nel 1971, arrivarono  addirittura a 3x Platino negli USA e al disco d’oro in patria. In questo disco siamo ancora nell’ambito di composizioni di pochi minuti, orientate su riff Blues-rock che le rendono riconoscibili e contribuirono sicuramente al grande successo di pubblico. Diversi anche i brani acustici, in stile Folk rock: l’artista inglese del genere, Roy Harper, venne citato da Anderson come una ispirazione. Ian Anderson ha sempre rivendicato una certa sobrietà  di stile, privata e pubblica, oltre ad una propensione spiccata per il sarcasmo. La mancanza di eccessi nella sfera privata (tra l’altro, l’astinenza da stupefacenti), si riflette in una musica con meno voli strumentali, suoni strani e sintetizzati, o effetti speciali su disco o su palco: i Jethro si prendono meno sul serio rispetto agli altri colleghi del Prog. La formula del “Concept” fu da loro usata solo in “Thich as a Brick”, forse il loro disco più propriamente “Prog”. Ma, in realtà , come sottolineò lo stesso Anderson, non era un concept album ma una parodia dei concept album di Yes o ELP. Una risposta sarcastica ai fan che avevano dato il bollino di concept a “Aqualung”.

Nel frattempo, nel 1973 un ragazzo inglese di 20 anni, Mike Oldfield, pubblica “Tubular Bells”, un disco interamente strumentale che e’ stato certificato 9x Platino nel Regno Unito e che ha venduto oltre 15 milioni di copie, quel che ne fa il disco prog più venduto dopo “Dark Side”. In questo caso si parlava all’epoca di Rock sinfonico o strumentale. Rispetto al rock classico derivato dal blues, il focus non e’ sulle chitarre ma sulle tastiere: molti sintetizzatori. Il risultato e’ orchestrale e, appunto, sinfonico. Oldfield suona quasi tutti gli strumenti e, obbligatoriamente, il lavoro di registrazione, produzione e missaggio assume un ruolo essenziale. Si tratta di musica che non assomiglia troppo a quella degli altri maggiori artisti prog dell’epoca, se non a tratti agli Yes o agli ELP. Ma non possiamo non definirla “prog”, per il suo voler andare oltre il pop e il rock, in questo caso soprattutto verso la tradizione classica e folk europea. “Tubular Bells” sarà  anche considerato un apripista della musica New Age, fiorita poi negli anni “’80 e che ha debiti anche verso altri dei dischi qui citati.