C’è un prima e un dopo nella carriera di Dragoni, con in mezzo i frequenti lockdown degli ultimi due anni che hanno cambiato forma e sostanza di un album nato dall’incontro col produttore Lorenzo BITW, abile a far da tramite tra il bedroom pop e la musica elettronica britannica, influenze principali di questi dieci brani. Ripetuti ascolti di Sufjan Stevens, Adrianne Lenker, Conor Oberst e Phoebe Bridgers con contorno di Sebadoh e Radio Dept hanno fornito ulteriori spunti e un’adeguata colonna sonora a “Incagli”.
Un disco di canzoni oneste lo definisce Dragoni, scritte per la prima volta in italiano dopo anni passati a redigere diligentemente testi in inglese. Una scelta forse inevitabile che non poteva non portare alla luce il lato più intimista e cantautoriale di un progetto nato dalla semplice combinazione di voce e chitarra acustica. Un approccio che rimane in pezzi come la title track, “Propaganda”, “Sara” e “Antifa” comunque arricchiti da tastiere e tromba mentre in “Graminacee” spuntano suggestioni synth pop non certo spiacevoli.
C’è una certa innocenza mista a dolcezza nella penna di Dragoni quando traccia ritratti di fotografe timide in “Vivian Maier” o racconta la Modena di “Una cosa qualsiasi”, provincia che pochi minuti dopo diventa metropoli astratta in “New York” che prende spunto da “Meet me in the bathroom” di Lizzy Goodman per poi parlare d’altro e si trasforma nella morbida psichedelia finale di “Double-decker bus”. “Incagli” è un esordio promettente, piuttosto equilibrato, mette insieme le diverse anime di Dragoni lasciando ampi spazi di manovra per il futuro.