Stento a crederci, eppure “POP” oggi compie 25 anni.
Si, 25 anni sono già trascorsi da quel 3 marzo 1997, quando il quartetto di Dublinesi più celebre al mondo se ne uscà con un nuovo album di inediti a quattro anni da “Zooropa” e a sei da quell capolavoro che fu “Achtung Baby“. Album della svolta, album della definitiva caduta degli dei, eterno incompiuto: di questo LP si è detto tutto e forse più. Tanto da affibbiargli la scomoda nomea di figlio illegittimo, del quale si preferisce non parlare o pronunciare il nome in pubblico. E di cui, in questo caso, non si cantano nemmeno le canzoni dal vivo.
“POP” è uno schiaffo alla tradizione, terzo capitolo della saga U2 iniziata nel 1991 con l’esplosione sperimentale di “Achtung Baby”, proseguita nel 1993 con “Zooropa”, quindi portata a definitiva maturazione sull’onda lunga della scena elettronica imperversante in tutta Europa (Underworld, Alphex Twin, Prodigy). Ricordo quell’anno in maniera nitida: la copertina in stile Andy Warhol; CD e musicassette suonati da mattina a sera dalle compagnie di ragazzi dell’epoca nelle giornate estive in villeggiatura. Il perfetto anello di congiunzione tra le infinite serate nei locali in cui le reminiscenze acid house e l’emergente techno/progressive la facevano da padroni.
Ricordo anche le facce stravolte di un paio di vicini di casa, all’indomani del monumentale passaggio degli U2 al Campovolo di Reggio Emilia. Un evento storico, entrato nel Guinnes dei primati per lo straordinario numero di 150.000 spettatori paganti. Ma anche un’odissea, a dirla tutta, per chi ebbe la fortuna di procurarsi un tagliando, dal momento dell’arrivo fino a quello del ritorno verso le auto, con qualche chilometro fatto a piedi nel caos più totale tra le campagne emiliane, e rientro a casa alle prime luci dell’alba.
Il lavoro per la realizzazione delle 12 tracce di “POP” inizia nel 1995 e le novità sono parecchie già in partenza. Cominciamo con il dire che sulla scena si avvicendano molteplici producers, tra cui il maestro delle consoles Howie B e il sound engineer Steve Osborne. La volontà è quella di portare a compimento quella svolta elettronica già anticipata con “Zooropa”, accelerata anche dall’assenza iniziale di Larry Mullen alla batteria (in convalescenza dopo un infortunio alla schiena). Poche idee e tanta improvvisazione fanno il loro ingresso degli Hanover Quay Studios, un po’ come accaduto per “Achtung Baby”, vero, ma stavolta c’è di più. La band, che aveva già dato mandato operativo a manager Paul McGuinnes di organizzare il tour mondiale ““ poi battezzato POP Mart Tour ““ inizia a sudare freddo per una deadline sempre più vicina e la produzione ancora in alto mare, soprattutto dopo il rientro di Mullen. Meglio rinviare la data d’uscita, dunque, da Dicembre ’96 al Marzo successivo, con la band però divisa sul risultato finale.
Il punto di rottura con ciò che U2 erano stati fino ad allora, è servito senza troppi convenevoli con “Discotheque” ““ traccia d’apertura. Segue “Mofo”, pezzone di pura elettronica e psichedelica. Eccole qui, dunque, le tracce chiave nella spina dorsale di un lavoro rivoluzionario, che troverà poi in “Miami” il brano meno accessibile e più complicato dell’intero percorso. Uno dei pezzi che chi scrive preferisce tra tutti, per l’assenza di struttura, la mancanza di una chiave di lettura univoca. à‰ anche uno schiaffo, in pieno viso, ai fan di sempre. Fedeli appassionati al suono della band irlandese, che mai e poi mai hanno accettato “POP” dopo aver vissuto i fasti degli anni ’80. Tra le altre note sparse spiccano una ballata di pura sperimentazione in cui la voce di Bono si fa più roca e ruffiana, come “If You Wear That Velvet Dress”, oppure la malinconica e aggressiva “Please”.
Tra le maglie di “POP” si cela tanta qualità , come pure – forse – una sovraproduzione che porta il risultato finale a suonare quale un “lavoro di compromesso”, come ammesso da The Edge a qualche anno dalla pubblicazione. La qualità emerge non soltanto nell’eclettismo e nel coraggio di cambiare direzione, ma la si evince anche da una certa ricercatezza nei testi (“Wake Up Dead Man” e ancora “Please” sono due autentiche gemme nel cantautorato di Bono Vox). Suona strano, oggigiorno, apprendere che “POP” – nonostante la vetta nelle charts di 35 paesi – non sia stato uno degli album più fruttiferi per la band dublinese. Il suo effetto sorpresa, infatti, si esaurà nello spazio di pochi mesi.
Da un punto di vista più personale, “POP” non è stato certo il disco che mi ha fatto innamorare degli U2 a suo tempo. Al netto di tutta la negatività che da sempre imperversa attorno ad esso, però, è innegabile che si tratti di un album con gli attributi. Un LP che, per certi versi, suona ancora attuale, con una personalità psichedelica e quella licenza di sperimentare a mente libera, reinventare e reinventarsi che contraddistinse gli U2 nella prima parte della loro gloriosa carriera.
Sono d’accordo con chi asserisce che “POP” segni uno spartiacque nella vita artistica di Bono e soci. Posso anche accettare di cerchiare in rosso questo lavoro come l’ultima occasione in cui la band di Dublino ha (brillantemente) osato alzare l’asticella. Evitiamo, però, frettolose bocciature e, a maggior ragione, non mentiamo a noi stessi. Anche dopo 25 anni, “POP” sa regalare un’ora di musica di qualità e grande intensità . Sfido chiunque ad affermare il contrario.
U2 ““ “POP”
Data di pubblicazione: 3 Marzo 1997
Tracce: 12
Durata: 60 minuti
Etichetta: Island Records
Produttori: Mark ‘Flood’ Ellis, Howie B, Steve Osborne
Tracklist:
1. Discotheque
2. Do You Feel Loved
3. Mofo
4. If God Will Send His Angels
5. Staring At The Sun
6. Last Night On Earth
7. Gone
8. Miami
9. The Playboy Mansion
10. If You Wear That Velvet Dress
11. Please
12. Wake Up Dead Man