Doveva essere davvero figo vivere a Manchester tra la fine degli anni 80 e la metà  degli anni 90, per un appassionato di musica!
C’era The Haà§ienda (Fac51 The Haà§enda) il noto club di proprietà  della Factory dove si alternavano i concerti di tutte le migliori band indie del momento (a livello globale) e serate dance tra acid house e alternative dancefloors. Ma la città  era piena di altre venues e club di questo tipo. Una sorta di delirio collettivo per la musica, tutti erano “matti di musica” e la città , nonchè il fenomeno, venne rinominata “Mad-chester”.

In questo contesto i Charlatans avevano ottenuto un ottimo successo con il singolo “The Only One I Know” ed il succesivo album “Some Friendly” li aveva consolidati come una delle band di riferimento del fenomeno e della musica “Baggy” come si definiva allora, derivando il concetto dalla moda di avere t-shirt e felpe molto larghe in vita, come se si nascondesse una borsa (bag).
Ma la band mancuniana, capitanata da Tim Burgess, un talentuoso singer dalla voce melodica e la bocca alla Mick Jagger, voleva andare oltre, allontanandosi da quello psycho-pop con una forte componente di organo Hammond che sembrava essere il leitmotif di quel tipo di band, come ad esempio degli Inspiral Carpets. Perciò assoldarono Flood che diede all’album una nouance piuttosto asciutta e a tratti tagliente, togliendo un po’ quel sound pastoso e vintage, spostandolo verso una matrice più algida che rendeva i Charlatans anche meno riconoscibili.

Oggi celebriamo i 30 anni dall’uscita di questo disco che portò i ragazzi di Manchester verso una maturità  artistica in step successivi, fino all’apoteosi di “Tellin’ Stories” del 1997.

Pronti via il disco si apre con un power chord, una chitarra piena che si tira dietro un basso super-funky ed una batteria sincopata. Col senno di poi suona molto Oasis che però verranno due anni dopo, certamente non per caso.
Anche le linee di basso sono in bella evidenza, secondo quella scuola Flood / Moulder che segnerà  a mio avviso the revenge of bass, la rivincita dei bassi. Ma questa è un’altra storia.
L’album ha delle chicche quali la hit single “Weirdo” che avrà  anche un bellissimo video accompagnatorio con un* protagonista “gender neutral” ed una superscomposta “Page One” con un intro di chitarra fuzz-funk davvero memorabile. Degna di nota anche “Tremelo Song” con quella tastiera da piano bar anni 80 che si tira dietro tutti gli strumenti a cominciare da un basso sempre molto dirty-funky, inclusa la voce delicatissima di Burgess, che in questo disco forse raggiunge il suo apice assoluto.
La traccia che vale l’acquisto dell’album per me rimane, anche 3 decenni più tardi, “Can’t Even Be Bothered”: un brano che parte piano, un po’ come quei brani dei Pixies tirati solo dal basso e batteria, con la voce sussurrata. Salvo poi esplodere con una enorme carica di energia, e la voce di Burgess che grida “Who do you think you are?” chi credi di essere?

I “disco con le banane” dei Charlatans è un po’ come la fine dell’adolescenza: ormai hai già  fatto tutto quello che potevi fare e devi solo decidere quello che vuoi fare da grande. Solo che non vuoi smetterla di divertirti.

State of mind.

Data di pubblicazione:  23 Marzo 1992
Tracce:  10
Durata: 43:41
Etichetta:  Situation Two / Beggars Banquet
Produttore:   Flood

Tracklist:
1. I Don’t Want to See the Sights
2. Ignition
3. Page One
4. Tremelo Song
5. The End Of Everything
6. Subtitle
7. Can’t Even Be Bothered
8. Weirdo
9. Chewing Gum Week End
10. (No One) Not Even the Rain