La premessa fondamentale è che non ho mai letto i libri della Ferrante, perchè sono sempre stato convinto che non potessero interessarmi e perchè, diciamolo, questa tetralogia ha proprio un titolo “di merda”. Della serie però ho sempre sentito parlare un gran bene, sia tra gli italiani che, soprattutto, tra gli stranieri.
E a ragione. Definirla una fiction Rai è in effetti fuorviante, dato che l’apporto di HBO e il fatto che la serie sia pensata per l’esportazione da sempre sono chiari sin dai primi minuti della prima puntata.
Questa terza stagione, intitolata “Storia di chi fugge e di chi resta”, non intacca la grandezza della serie, che rimane uno dei migliori prodotti televisivi italiani, se non di sempre, del nuovo millennio certamente.
La regia e la supervisione di Lucchetti, che della materia è un esperto, garantiscono alla stagione l’approfondimento dell’aspetto politico necessario per inquadrare la vicenda nei tempestosi anni ’70 delle rivolte studentesche, del femminismo arrembante e della lotta armata.
Alla solita Napoli si alternano questa volta Firenze e Milano, teatri della prigionia borghese di Lenù dopo il matrimonio con Pietro. Ed è in parte un peccato, perchè sebbene le vicende amorose e intellettuali di Elena siano davvero ben scritte e rese, è a Napoli che si consumano le migliori puntate (incredibile la sesta, quella del pranzo a casa di Marcello Solara), grazie anche ai migliori attori non protagonisti della serie. Gli intepreti dei vari Pasquale, Gigliola, Michele, Marcello e Stefano sono davvero una rosa di fuoriclasse, capace ancora una volta di dare vera e propria vita al “rione”, un luogo che racchiude la veracità , la violenza, il calore, le dinamiche, il bene e il male della Napoli proletaria dell’epoca.