Avevamo lasciato Pete Doherty alle prese con l’ultimo disco dei Puta Madres lo ritroviamo oggi sempre di stanza a à‰tretat, in Normandia, ormai sposato con la tastierista Katia de Vidas e libero pare dalle dipendenze e dai fantasmi del passato. Sembra insomma che abbia decisamente messo la testa a posto riallacciando anche i rapporti con il quasi amico Carl Barat prima di lanciarsi in questa nuova avventura a fianco del produttore e musicista francese Frèdèric Lo.

Incontro avvenuto in occasione di un disco tributo al cantautore Daniel Darc e proseguito fino a generare i dodici brani di “The Fantasy Life of Poetry & Crime” molto diversi questo va detto da quanto Doherty ha fatto sinora. Lo si è occupato della musica, Pete dei testi in un proliferare di archi, fiati, chitarre acustiche, armonie ora dolci ora accattivanti con un occhio di riguardo per quei personaggi maledetti che hanno sempre affascinato entrambi, Maurice Leblanc e il suo Arsenio Lupin in primis ma anche Romain Gary, Thomas Gray, William Ernest Henley, Dashiell Hammett.

Pete Doherty ha così modo di sfogare tutto il suo impeto melodico in ballate orchestrali (“The Epidemiologist”, “The Ballad Of”) o suonate al pianoforte (“Far From The Madding Crowd”) senza mai sconfinare nel pop puro ma confermando una predilezione particolare per la canzone anni sessanta, atmosfere sofisticate e toni pastello che lasciano poco spazio a ritmi più decisi. Gli arrangiamenti sono cuciti su misura per il Pete più confidenziale, che si cala nella parte senza troppe ansie da prestazione.

Un esperimento che intrattiene pur senza entusiasmare e ha nelle allegre “You Can’t Keep It From Me Forever”, “Keeping Me On File” e in una tripletta intensa come “The Monster” ““ “Invictus” ““ “The Glassblower” i momenti migliori. Doherty è diventato un interprete molto francese e poco maudit conservando un lato bohèmien tirato a lucido nella title track, meno evidente nei dolci arpeggi di “Abe Wassenstein”. Disco gradevole ma niente a che vedere con Babyshambles e Libertines.