“Sai come si dice: piccolo uomo, ego gigantesco”
Non potrei descrivere meglio il concerto che ho vissuto all’Alcatraz in un giovedì piovoso di aprile 2022. Utilizzando la cit. de “Il Diavolo Veste Prada” si riassume tutto quello che il francese Yoann Lemoine fa, canta e dice sul palco.
Woodkid ha sicuramente passato un periodo non facile: uscito con il suo secondo ( e faticoso) album “S16” alla fine del 2020, ha dovuto rimandare quasi in maniera costante il tour promozionale nel nostro paese. Finalmente, dopo due anni di annunci e cancellazioni, è riuscito a salire sul palco di uno dei club più importanti d’Italia per portare la sua nuova musica e i suoi fantastici visual al pubblico italiano.
La prima volta che lo vidi fu per il mio compleanno, nel lontano luglio 2013, a Villa Arconati (Bollate): era uscito da non molto il suo primo (e stando a quello che dice proprio lui “mitologico”) album dal titolo “The Golden Age” che sinceramente reputo uno dei capolavori del decennio 10-20. All’epoca era una bella sorpresa, dopo un E.P quasi non considerato, l’artista di Lione era riuscito nell’impresa di sfornare un LP degno di nota e di portarlo sul palco egregiamente.
A distanza di quasi dieci anni da quel concerto, posso dire che il ragazzo è cresciuto avendo molta più confidenza con il palco, con il pubblico in ascolto, ma soprattutto con il suo smisurato ego.
Alle 21.05 le luci si spengono per dare il via a quello che è l’intro più lungo e noioso che abbia mai sentito: un rintocco scandito nel tempo in sospeso che dura quasi una decina di minuti ma a te, che sei lì con la tua birra in piedi, sembra passata un’eternità . Dopo questo limbo strumentale, entra l’ensemble di musicisti che accompagna l’artista: tutti vestiti con tute da operai russi pre-rivoluzione bolscevica, prendono posizione facendosi vedere con i loro strumenti. Troviamo una batteria, una elettronica, un violino, una viola, un contrabbasso, un sax ed un trombone. A chiudere synth, tastiere e suonini vari a corollare le musiche. Si posizionano proprio sotto quello che è un palco rialzato accessibile tramite due piccole scale, e in background un grande e gigantesco schermo per dare l’idea ai fan che “sì, sarò basso ma sono troppo cool per voi”.
Che Woodkid sia un artista poliedrico, un produttore, un videomaker, un grafico (e chi più ne ha più ne metta) è oramai risaputo. La cura per i dettagli visivi supera di gran lunga la resa della performance canora del cantante. Possiamo dire che visual e strumentale si fondono perfettamente in un gioco sorprendente che appaga oltre ogni immaginazione pubblico (e anche critica). Si parte con “Iron”, singolo che l’ha portato al successo: dall’alto del suo piano rialzato da cui può vedere tutta la platea di gente, Yoann incita la folla facendo mosse un po’ stile swag LA, ma che diamine sono veramente cool.
La serata è poi costellata da grandi successi sia vecchi che ovviamente nuovi: il tutto arricchito dai grandi video sullo sfondo che rendono i singoli come “Pale Yellow”, “Reactor” o la bellissima “Conquest of Spaces” delle bombe dal vivo. Cala a volte la resa canora del cantante: avendo un timbro vocale sicuramente più grave rispetto ad alcune tonalità usate in canzoni come “I Love You”, la versione live cala drasticamente a volte per colpa di qualche stonatura ben piazzata. Ma questo, capita anche ai migliori.
Il finale, però, è dei più vibranti ed energetici degli ultimi tempi: con “Goliath” e “Run Boy Run” si ha la consacrazione di Woodkid nell’olimpo dei migliori concerti che abbia visto. Vuoi per la natura stessa dei brani suonati, vuoi per l’emozione di essere di nuovo ad un concerto a capienza piena, quello a cui assisto è un qualcosa di veramente unico. Alla fine dell’ultima canzone parte il coro, la band ci marcia sopra giocando assieme a noi (dal riprendere il coro bisbigliando e andando sempre più su) per poi dal nulla riprendere l’ultimo minuto del brano a sorpresa, facendo saltare tutti.
Unica pecca di questo live: i momenti in cui lui apriva la bocca per parlare. Non so, sarà la mia poca considerazione positiva nei confronti dei francesi ma i vari intermezzi di parlato (6 momenti da almeno 5/8 minuti) ad un certo punto diventavano insopportabili. Certo, spiegare la canzone successiva è sempre cosa buona e giusta, ma le filippiche su quanto sia stata “una merda” rimandare e rimandare il suo live, beh anche meno. Direi che non è stato l’unico in questa situazione. Ad aggiungersi poi al quasi comizio politico, la sua voglia irrefrenata di farsi adorare dal suo pubblico pagante. Tra sponsorizzate campate in aria del suo profilo Instagram (e di quello degli altri componenti della band) e finti svenimenti che facevano impazzire la folla (ma davvero?) io fra poco stavo per fare una strage.
In conclusione, andate a sentire Woodkid dal vivo perchè merita proprio. Definisco la sua musica “cinematografica” perchè ogni brano (dotato di un grande lato epico dato dalle percussioni) può essere inserito in ogni lungometraggio che si rispetti. Questo dal vivo succede: è come vedere un grande film con un’orchestra dal vivo sotto che suona le sue musiche. Può essere un francese spocchioso dall’ego gigantesco, ma a neanche 24 ore dal suo live io ho già voglio di risentirlo sotto palco.