Da qualche tempo a questa parte l’uscita di un nuovo album a firma Sondre Lerche sembrava non fare più notizia, se non per mero dovere di cronaca redazionale.

L’accoglienza tiepida riservata alle sue ultime pubblicazioni, invero altalenanti e prive di autentiche vette creative cui il cantautore norvegese ci aveva abituati ai tempi del suo folgorante esordio, è la stessa che ho visto riposta in questo nuovo lavoro che, però, a me ha stuzzicato subito la giusta curiosità , perchè quando mi innamoro di un artista tendo a dargli più possibilità  prima di bollarlo come finito, musicalmente parlando.

Il percorso del Nostro, come detto, pareva aver preso non dico una piega negativa, ma in ogni caso una deriva in qualche modo “rassicurante”, quasi non volesse evadere da una confort zone in cui oramai talento e mestiere sembrava andassero a braccetto.

Eppure l’ascolto dei singoli anticipatori di “Avatars of Love” avevano rivelato una rinnovata ispirazione, veicolata da un gusto per il suono davvero sopraffino, come da tempo non mi capitava di sentire nei suoi lavori.

E’arrivata finalmente la prova del disco nella sua interezza a darmi conferma delle belle sensazioni suscitatemi dalle canzoni apripista: la raffinatissima “Dead of the Night” – eterea e notturna -, una “Cut” al contrario pimpante e vicina a sonorità  eighties, e “Turns Out I’m Sentimental After All”, ballata che spiazza per la sua disarmante bellezza.

Era evidente sin da questi titoli la volontà  di Lerche di non risparmiarsi, mettendo tutto sul tavolo da gioco: vecchi amori e nuove avventure, malinconie struggenti e raggiunte consapevolezze, l’orgoglio e la ragione, il candore e il diritto di essere sempre e per sempre se stessi.

E’ un autentico caleidoscopio musicale quello che emerge forte in superficie una volta premuto il tasto play su questo disco, e a maggior ragione è proprio la frizzante e ondivaga title-track a dettarne il mood, incanalando lo spirito più genuino dell’opera, che sgorga spontaneo ad ogni traccia, comprese quelle più complesse da un punto di vista della scrittura.

Si tratta di un lavoro in cui la matrice folk degli esordi si mescola ai migliori scenari contemporanei, raffigurati in episodi calzanti come “Summer in Reverse” (con ospiti le giapponesi CHAI), “What Makes Me Tick” o “Special Needs”, e dove riaffiorano reminiscenze da compositore d’avanguardia, per il quale in passato si spesero paragoni tanto importanti quanto ingombranti, in canzoni quali “Will We Ever Comprehend”, la conclusiva “Alone in the Night” – in duetto con la giovane connazionale Aurora – ma soprattutto nella splendida ouverture “Guarantee That I’d Be Loved”.

Sondre Lerche ha descritto questo nuovo album come la summa del suo percorso; si sa che a volte la percezione e la volontà  di un artista non corrispondono realmente con il risultato finale, ma stavolta mi sento dire che non si sia andati poi tanto lontano dai nobili propositi iniziali.

Dall’essere stato definito un enfant prodige ai tempi del debutto, a venire bollato come sopravvalutato il passo, ahimè, è stato breve e alquanto avventato, ma che Sondre Lerche sia un genio incompiuto o una promessa mancata molta critica cominciava a domandarselo.

Solitamente la verità  in questi casi sta nel mezzo, ma ascoltare questo disco che, per inciso, nella sua ricchezza compositiva, può non risultare semplice (essendo state evitate le facili melodie), induce a pensare che il fuoco sacro dell’ispirazione in lui non si sia spento e che, in fondo, il meglio debba ancora venire.