E’ tornata l’onda anomala creata da Kristin Hersh, Bernard Georges e Rob Ahlers, l’altra band oltre i Throwing Muses, quella con il sound giusto per tutte le stranezze, la voglia di picchiare duro e di non scendere mai a compromessi. Attivi dal 2003, anni lastricati di album ed EP, discordanti, distorti, meravigliosamente vivaci, con i loro assoli brucianti e l’indole battagliera hanno tenuto sempre viva la sacra fiamma dell’alt rock con sfumature pesanti e rabbiose.
Il basso, la chitarra, l’aura minacciosa di “Staring Into The Sun”, tutto è nella voce di Kristin Hersh e il suo “You are not a pacifist you are not kneeling” vibrante di furia a malapena contenuta, la malinconia elettrica e la batteria motorik di “Hog Child” diventano violenta distorsione in una “Fly Down South” capace di evocare profumi e influenze del blues di Chicago in chiave accelerata e rock. Melodie oblique popolano “Broken Sugar” che nella parte centrale assume toni quasi hardcore che in “Blush” si fanno più rotondi senza perdere un grammo d’incisività .
“Black Pearl” che prende il nome dall’unico strumentale del disco è un album tremendamente a fuoco e intenso, ben più multiforme e complesso di quanto non si possa immaginare scorrendo la tracklist. La tempesta di riff avvolgenti che travolge “Double Barrel” è lì a dimostrare che c’è ancora spazio per chi ha tempo e voglia di sporcarsi le mani nel vasto mondo musicale odierno. Corrosivi e tenaci, i 50 Foot Wave sono e restano una splendida anomalia, un piccolo bug del sistema che non ha bisogno di essere corretto. “I blame you and I blame us there will be no peace in this“.
Credit foto: Steve Gullick