Questo secondo capitolo dedicato allo stregone interpretato da Benedict Cunberbacht puó essere utilizzato, nel bene e nel male, come una cartina tornasole dello stato di salute dell’universo Marvel. Il quale fa sì ancora grandi numeri, ma non incontra più il favore della critica e inizia a mostrare la corda proprio nelle metodologie che ne avevano decretato il successo diventando un modello per il cinema seriale odierno.
Se il multiverso di Spiderman ha fatto piangere il mondo unendo i tre interpreti del lanciaragnatele in una pellicola dal forte impatto emotivo, quello di Doctor Strange sembra un garbuglio fine a se stesso e a generare cervellotici intrecci buoni solo per Disney +, tirando quindi in ballo personaggi incapaci di coinvolgere come quelli di McGuire, Garfield, Molina, Dafoe e compagnia cantante.

“Doctor Strange 2” è però un gran bel film e diventa tale quando Raimi ci mette l’impronta tra demoni, cadaveri impossessati, autocitazioni ed effetti visivi iconici come lui solo li sa pensare.
La strada da percorrere per salvare la baracca è forse proprio un ritorno alle origini, alle prime due fasi dell’universo Marvel, quando ogni personaggio e pellicola giovavano di un tocco autoriale piuttosto che di mero fan service e coincatenazioni esasperate.