di Enrico Sciarrone
Nel 2020 aveva destato incredulità e interesse l’inserimento di questa giovane band pressochè sconosciuta (al tempo l’omonimo album d’esordio aveva venduto pochissim ) nella rosa delle candidature ai Grammy Awards come Best new Artist al fianco di esordienti ben piu’ rinomati e forti di un buon consenso commerciale, lasciando stupiti e interdetti gli stessi Black Pumas per cotanta e inaspettata considerazione. Poichè la scelta dei candidati non viene mai motivata, potremmo, col senno di poi, interpretare la mossa dell’Academy come una sorta di “investitura” e di scommessa sul potenziale dei Black Pumas, suffragato l’anno seguente dalla riconferma per ben tre candidature ai 63 ° Grammy come disco dell’anno, anche nella categoria deluxe e miglior american roots performance. Segno inequivocabile che la promessa era divenuta realtà e che il duo di Austin, formato da Eric Burton e Adrian Quesada, nato quasi per caso, cosi eterogeneo a livello di background musicale personale (Burton da Los Angeles cresciuto a pane, gospel, hip hop e Motown, Quesada texano affermato chitarrista con trascorsi importanti anche con il Grupo Fantasma vincitore di un Grammy Latin rock ) funziona straordinariamente bene, offrendo una proposta interessante in chiave soul/r&b revival, con continui richiami e riferimenti alla tradizione senza però apportare stravolgimenti o riletture della scena black.
Non c’è, infatti, nessuna rivoluzione di genere ma uno straordinario progetto teso a unire le mille facce di contesti musicali diversi. Una proposta che trova nella dimensione live una sua ulteriore esaltazione. La performance di ieri sera, tenutasi nella suggestiva location del Teatro Romano a Verona, unica data italiana del tour europeo dei Black Pumas, è stata di fatto un vero e proprio viaggio alla riscoperta di sonorità un po’ vintage, con un effetto continuo di deja-vu gradevole e accattivante, dove il soul e il r&b l’hanno fatta da padrone ma in realtà ci si poteva trovare di tutto, anche sprazzi di rock psichedelico, accenni roots, funky,( territori tanti cari ad Adrian Quesada) in cui la straordinaria voce di Eric Burton, cosi flessibile, cosi corposa ha “omaggiato”, con i dovuti distinguo, i grandi della musica nera con cui probabilmente si è formato (Otis Redding, Marvin Gay), impreziosendo il tutto con una presenza scenica (grazie a un passato da attore), un empatia e una capacità di coinvolgimento del pubblico assolutamente straordinarie.
Il tutto in un set durato quasi 2 ore, ritardato da un temporale quanto mai inaspettato e inopportuno (ad un paio di km c’era anche Nick Cave in Arena), per 15 canzoni costituenti l’ossatura dell’unico album prodotto, dove non sono mancate le hit come “Black Moon”, “Oct 33″,” Ain’t No Love” e la tanto attesa “Colours”.
I Black Pumas si sono dati con generosità e senza risparmio. Abili ad andare oltre la nostalgia, risaltando le origini e le radici di un mondo capace, ancora oggi, di brillare di un fascino senza tempo.