Serata caldissima anche stasera al pari di quella di domenica scorsa, ma decisamente più sopportabile, si ritorna al nostro circolo preferito per un’accoppiata di quelle tanto underground, quanto fuori moda.
Il classico post rock degli irlandesi God Is an astronaut a fare gli onori di casa e lo shoegaze degli americani Nothing a spalleggiare e condividere questo mercoledì estivo.
Peccato per la defezione all’ultimo, per motivi di salute, dei Giardini di mirò, annunciati, per la precisione, successivamente a questo combo che rimane, invece, invariata come originariamente previsto diversi mesi fa.
Saranno pure dèmodè ma va sottolineato come ci sia una buona affluenza di pubblico, tanto da allestire il palco principale. Costo del biglietto popular e musica di assoluta qualità sul piatto.
Devo dire che per i Nothing ho un debole particolare, gruppo di nicchia, in giro dal 2010 e spesso e volentieri dalle nostre parti, se non sbaglio l’ultima volta fu, prima della pandemia, al mitico Ohibò, sono in tour in Italia per una manciata di date. Shoegaze come attitudine, ma anche grande songwriting, quello che arriva inaspettato dal semplice talento nell’essere in grado di scrivere belle canzoni, Domenic Palermo sa il fatto suo, le melodie accattivanti ci sono, rotonde e sognanti, per il resto arrivano i chitarroni a fare la differenza.
Attaccano poco dopo le 20 e piazzano una dozzina di brani di quelli tosti, in ordine sparso da “Say Less” alla punkeggiante “Vertigo flowers”, passando per “April ha ha” fino ad una caotica “Downwards years to come”.
Concerto diretto e senza fronzoli, chiaramente la scelta di un suono grezzo e d’impatto penalizza la pulizia che in studio c’è e su alcuni pezzi le tanto apprezzate melodie si perdono dietro ad un muro di amplificatori, è un po’ un leit motiv di molte proposte del genere. Tuttavia trattasi comunque di un dettaglio perchè il “messaggio Nothing” arriva.
God Is an astronaut on stage alle 21,45 circa, anche qui una quindicina di brani spalmati su un’ora e mezza di set del più classico dei post-rock nato sul finire degli anni novanta.
Festeggiano proprio nel 2022, vent’anni di carriera e nove album in cassaforte con l’ultimo “Ghost tapes 10” uscito qualche mese fa.
Figli naturali dei Mogwai, ma con un’anima anche sintetica curata dal rientrante Jamie Dean, proprio in occasione del disco nuovo, dopo una parentesi di un triennio, a lui il compito di smussare gli spigoli di un suono bello tosto della band dei fratelli Kinsella.
Concerto che lascia poco spazio all’immaginazione, trame chitarristiche viscerali, spesso e volentieri un esasperato wall of sound protagonista, brani lunghi e dilatati chiaramente strumentali come il dogma impone, ottimo gioco di luci, che con una visione più distante dal palco rende ancora meglio. Se ne vanno visibilmente soddisfatti per l’accoglienza di un pubblico eterogeneo.
Una serata piacevole, tradizione rigorosamente rispettata.