Oggi su Indie For Bunnies abbiamo il piacere di ospitare due storiche realtà Punk e Oi! italiane: Nabat e Klasse Kriminale: i due gruppi tornano sulla scena con uno split nel quale si coverizzano a vicenda, una release imperdibile per i fan della prima ora ma anche per tutti gli altri, perchè la scena skin in Italia ha avuto, e ha ancora, molto da dire.
Intanto, noi abbiamo fatto qualche domanda a Steno dei Nabat e a Marco dei Klasse Kriminale.
Nabat e Klasse Kriminale, siamo felici di ospitarvi su Indie For Bunnies. Per prima cosa, vi va di ripercorrere la vostra carriera, dagli inizi ad oggi?
Steno: suoniamo dal 1979 e di cose ne sono successe tante, non basterebbe lo spazio a nostra disposizione per elencarle tutte, certo come tutte le band della prima ora abbiamo vissuto cose che voi umani non potreste immaginarvi 🙂 tempi duri ma formidabili.
Marco: Ho iniziato con i Klasse nel 1985 quando il Punk era dato per spacciato, ho cambiato centinaia di musicisti e strimpellatori con cui abbiamo registrato una decina di album in studio più vari singoli usciti per etichette sparse per il mondo. Abbiamo suonato forse più in Europa che in Italia e siamo arrivati fino al Giappone, alla Russia e al Nord America.
Arrivate nel 2022 con uno split in vinile che rappresenta un vero gioiello per tutti gli amanti del genere. Come lo descrivereste?
Marco: è stato naturale fare qualcosa insieme dopo tutti questi anni, ci siamo divertiti a scambiarci i pezzi e a interpretare un classico degli Slade, fissando così la nostra amicizia su vinile.
Steno: mi soffermerei più volentieri sul perchè abbiamo voluto fare questo lavoro su vinile e il motivo è che arrivati alla nostra età , dopo tanti anni di attività musicale ci piaceva l’idea di unire le band visto il nostro percorso molto simile, quindi perchè non fare insieme un disco? In fin dei conti entrambi i gruppi hanno la stessa radice.
Troviamo ci sia un parallelismo interessante tra il concetto di split, decisamente punk, e quello di feat., decisamente rap e molto in voga in questi anni. Due forme di release discografica nella quale si denota la forza della collaborazione tra artisti e l’idea di comunità all’interno di un genere musicale, culturale, giovanile e anche sociale. Quanto è importante per voi l’aspetto collaborativo tra artisti appartenenti ad una stessa scena?
Marco: Non so come lo definirei, ma direi che qua siamo oltre lo split e il feat. Conosco Steno e i Nabat dall’inizio degli anni ’80, i primi dischi dei KlasseKriminali sono stati fatti grazie ai suoi suggerimenti, negli anni “’90 e oggi le sale prove gestite da Steno hanno ospitato infinite volte le formazioni dei KK e in più il loro manager Tiziano Ansaldi era di Savona ed era un nostro grande amico.
Steno: per noi questo aspetto è fondamentale, fa parte della nostra cultura. La prima uscita in assoluto dei Nabat era uno split su cassetta a metà con un’altra band: questo per dire che nel punk è uso comune condividere i lati di un vinile o di una cassetta e molto prima di altri generi musicali oggi in voga, almeno nel nostro paese.
Il movimento skinhead, la vostra corrente di appartenenza, è stato indiscutibilmente una vera scossa culturale, sociale e anche politica in mezza Europa e negli Stati Uniti. La stessa figura dello skinhead ha subito negli anni l’ignoranza delle persone, che, guidate dai media, lo hanno sempre e solo ricollegato alla destra estrema. Quando eravate ragazzi, quando avete capito di essere skin e cosa significava essere uno skin in Italia?
Steno: Essere uno skin non è una cosa che si capisce, è una scelta. Siamo diventati skinhead perchè non compativamo più i valzer politici di una parte del movimento punk di quei tempi, cercavamo una alternativa che si confacesse con le nostre abitudini e coi nostri gusti musicali.
Marco: L’Oi! forse è stata l’ultima volta in cui il Rock’n’Roll è stato veramente dirompente, noi eravamo lì e ci siamo sentiti parte di quel movimento.
Ed essere uno skin nel 2022? Ha ancora senso parlare del movimento? Gli ideali sono e possono essere i medesimi di quando tutto ebbe inizio?
Steno: Certo che sì. Quando abbracci la cultura skinhead non ti poni il problema di quanto durerà , si vive forse oggi più alla giornata rispetto a una volta ma mi pare che di skins in giro ce ne siano ancora tanti e se c’è la gente il movimento ha diritto di esistere.
Marco: Forse nel 2022 le urgenze e i problemi sono maggiori di quelli del 1980, ma c’è stato un mutamento epocale nel mondo, gli adolescenti, il lavoro, i partiti, il business musicale, i mass media”… tutto è cambiato e penso anche la rabbia e i sogni di un ragazzo di oggi. Gli Skinheads erano sicuramente figli di quel momento storico.
Quali band sono state per voi seminali? Quali vi hanno spinti a diventare a vostra volta dei musicisti?
Steno: una delle band fondamentali per me sono stati appunto gli Slade, insieme ad altre band del periodo come gli Sweet, ma anche i Led Zeppelin, anche se poi con il punk rock il primo pezzo che i Nabat provarono fu “I feel allright” dei Damned, che era poi una cover degli Stooges che metterei nel sacco dei gruppi per me importanti.
Marco: Specials, Clash, Jam, Sham 69, AngelicUpstarts, Cockney Rejects, Business mi hanno influenzato con la loro musica, il loro stile, il loro messaggio, ma non ho mai pensato di diventare un musicista e non li ho mai visti come tali, erano dei ragazzi che stavano raccontando quello che ero e le mie esigenze.
Bologna e Savona, le vostre città . Come sono cambiate negli anni? E voi, avete cambiato il modo di percepirle e di viverle?
Steno: A Bologna si vive molto peggio che negli anni “’80, non che non ci fossero i problemi allora, ma oggi la realtà è ancora più precaria, una realtà NO FUTURE. Bologna non è mai stata la città più libera del mondo.
Marco: Il Porto, i suoi traffici e il suo lavoro sono cambiati con l’avvento del container, del gigantismo navale e delle nuove crociere. Il Porto e le fabbriche hanno restituito spazi alla città , i tempi del lavoro sono mutati e con loro anche la città è cambiata e tutti ci siamo adattati.
Siamo arrivati alla fine di questa chiacchierata, che avrà sicuramente arricchito tutti i nostri lettori. Vi ringraziamo per la disponibilità e vi chiediamo di salutarci come meglio credete, nel vostro stile.
Oi! Keep The Faith, ci vediamo sotto al palco”…