Ogni artista si trova nel corso della propria carriera a dover fronteggiare varie fasi, momenti talvolta anche cruciali, in cui non è chiara la direzione da prendere, per non dire di quelle crisi che vanno ad attanagliare il proprio vissuto.

Se c’è un caso illustre che esemplifichi questo assunto, esso risponde al nome di Pink Floyd, la celebre band che dal suo primo mitico disco (“The Piper at the Gates of Dawn”, frutto della mente del geniale Syd Barrett, pubblicato nel 1967) di vite ne aveva condensate parecchie, tutte costellate di successo e tanta creatività  musicale.

Questo almeno fino agli albori degli anni ottanta, quando, reduci dai fasti dell’imponente “The Wall”, in cui si impose definitivamente la visione di Roger Waters, determinato più che mai a porre il proprio timbro sul nome del gruppo, i Pink Floyd si trovarono in un vicolo cieco, con una netta spaccatura all’interno e tensioni ormai pronte ad esplodere.

Il tutto accadde dopo l’infausta pubblicazione del controverso “The Final Cut”, sorta di album solista mascherato di Waters, in cui l’apporto compositivo di David Gilmour fu minimo, senza tener conto di Richard Wright, addirittura estromesso dal quartetto già  durante le registrazioni di “The Wall”, al cui tour poi partecipò solo in veste di turnista.

Ovviamente, una macchina come quella non teneva conto solo del versante artistico ma andava a toccare anche questioni più terra terra, di tipo contrattuale, economico, di partecipazione, di leadership, e che il già  citato “The Final Cut” riportasse la dicitura “A Requiem for the Post War Dream by Roger Waters. Performed by Pink Floyd” , la diceva lunga sul fatto che ai rimanenti Gilmour e Nick Mason fosse toccato il ruolo di semplici comprimari.

Mai come in quel periodo, insomma, l’avventura dei Pink Floyd sembrava essere giunta al capolinea, tra lavori solisti effettivamente pubblicati ““ a distanza di breve tempo ““ e la ferma volontà  da parte di Waters, dopo che si era ufficialmente dimesso dal gruppo, di impedire agli altri di utilizzare in futuro il prestigioso marchio.

La lunga battaglia legale alla fine premiò i superstiti e, non senza fatica, dopo un paio d’anni di gestazione, i Nostri poterono tornare sulle scene con un album nuovo di zecca, dall’emblematico titolo “A Momentary Lapse of Reason”: era il 7 settembre 1987.

In molti a quel punto si chiedevano se David Gilmour, solitamente poco prolifico in fase di scrittura dei testi, avrebbe tenuto testa al suo predecessore, ma dal punto di vista musicale c’era anche una fetta di pubblico che male aveva digerito le atmosfere sin troppo cupe e claustrofobiche dell’ultimo lavoro in studio e si auspicava una ripresa di quelle sonorità  ariose, aperte, in cui potesse tornare protagonista la sua chitarra sognante.

E se Richard Wright non figurava ancora tra i componenti ufficiali della formazione, almeno era tornato in organico e in fondo sarebbe stata solo una questione di tempo il suo reintegro formale.

La risposta ai primi dubbi fu subito chiarita con l’affiancamento di due navigati autori come Anthony Moore e Patrick Leonard, che supportarono Gilmour in fase di scrittura, mentre per quanto riguarda le idee musicali vi erano ben pochi dubbi sulla paternità , in quanto il talentuoso chitarrista ebbe finalmente la strada spianata per poter liberare la sua vena creativa, nel corso degli anni come detto soffocata da Waters.

Coadiuvato dal fidato Bob Ezrin alla produzione,  Gilmour seppe così incanalare ogni sua pretesa e istanza artistica al servizio di un lavoro che andasse idealmente ad allacciarsi con i celebri album degli anni settanta, quelli del massimo splendore della band, e anche la scelta di richiamare l’amico designer Storm Thorgerson per realizzare la copertina fu un chiaro segno di andare in una certa direzione. In effetti l’impianto iconografico colpì subito l’immaginario, con una forza evocativa che poteva competere con le opere da lui prodotte nei dischi precedenti.

Se le intenzioni furono nobili e in un certo senso rivolte a rassicurare un buon numero di fans, le loro traduzioni fatte canzoni lasciarono tuttavia adito a legittime perplessità .

Non che “A Momentary Lapse of Reason” sia un brutto disco ““ anzi, personalmente, l’ho sempre ritenuto una gradevole boccata d’aria fresca ““ ma non si può certo dire che il gruppo abbia voluto rischiare o provare a sorprendere l’ascoltatore come ottimamente aveva sempre fatto prima.

Tuttavia, viste le circostanze in cui fu realizzato si poteva parlare a ragione di una nuova ripartenza, forse la prima vera e propria per i Pink Floyd, se pensiamo che ad esempio ai tempi della dolorosa dipartita del fondatore e primo leader Syd Barrett, ci fu comunque una ripresa veloce all’insegna di una certa continuità , prima di inoltrarsi in altri magnifici territori musicali.

All’uscita di questo disco, invece, la sensazione fu proprio che dei Pink Floyd rimanesse in pratica solo l’illustre sigla (a garantire comunque copiose vendite e riscontri generalizzati), ma che di sostanza ce ne fosse invero poca.

Dove sta allora la verità ? Credo sia stato inevitabile all’epoca cercare dei paragoni con l’epopea dei tempi migliori, e va da se’ che le tracce inserite in questo album fatichino a reggere il confronto con i classici, eppure mettendovisi all’ascolto si ha come una sensazione di familiarità , ed è piuttosto evidente la voglia da parte del gruppo di mettersi alle spalle un periodo decisamente pesante e difficile per rimettersi in carreggiata, ispirato da buone sensazioni.

Un esempio lampante di questo nuovo corso è dato dalla canzone (poi diventata famosissima) “Learning to Fly”, in cui il marchio a fuoco di David Gilmour è palese dalla prima all’ultima nota.

E’ un brano che profuma di Pink Floyd old-style, nell’atmosfera sospesa, eppure intrisa di densità , nelle aperture musicali, nei magnifici cori; insomma, tutti gli ingredienti figurano al loro posto, e l’idea del volo ““ una passione autentica di Gilmour ““ traspare in tutta la sua dimensione: è una sensazione di libertà , anche creativa, che riecheggia in quasi tutto il disco.

Iniziando infatti dalla strumentale “Signs of Life”, per arrivare alla sognante “On the Turning Away”, la fluttuosa “Terminal Frost” (dal notevole arrangiamento) e la programmatica “Sorrow” che chiude il disco consegnandoci un assolo da manuale conforme al suo autore, è evidente la voglia di guardare oltre, senza dimenticare da dove si era partiti.

Sarebbe ad ogni modo poco corretto in fase di revisione critica non sottolineare anche quegli episodi meno felici, dove si avverte una certa stanchezza o gli strascichi del passato recente, cosicchè il dittico “A New Machine (Part 1 e Part 2)” o l’ondivaga “Yet   Another Movie” ““ col corredo della strumentale “Round and Around” –   appaiono francamente poco ispirate, per non dire fuori posto.

Meglio invece altri episodi che si discostano dal mood dominante, non smarrendo il filo logico della narrazione, anche laddove i temi diventano più ostici: capita ad esempio in “One Slip”, una disamina vivida dei tempi che i Nostri stavano vivendo sulla loro pelle racchiusa in un apparato musicale altresì vivace e fantasioso, e in “The Dogs of War” (che la precede in scaletta).

Quest’ultima concede al gruppo di allargare i propri orizzonti, confluendo in una tirata veemente contro una società  rapace in cui l’individuo viene ancora troppe volte assoggettato dalla brama di potere che passa anche attraverso misure disumane, su tutte la guerra, che quindi come topic torna a fare capolino anche nei nuovi Pink Floyd, pur senza piombare nell’ossessione.

“A Momentary Lapse of Reason” mostra in definitiva un gruppo alla ricerca di un proprio equilibrio ““ ci riuscirà  col successivo “The Division Bell”, che appare decisamente più coeso in ogni sua parte ““ ma ha il merito di aver rimesso in moto un’anima ancora viva e pulsante, prova ne è anche il rinnovato impianto live che avemmo modo di vedere all’opera da vicino nello storico concerto tenuto a Venezia, due anni dopo la pubblicazione del disco.

Nel corso degli anni, com’è noto, ci sono stati momenti di scongelamento pure nei rapporti tra i due “grandi capi” Roger Waters e David Gilmour, che si ritrovarono di nuovo sul palco a suonare assieme sempre in occasioni significative, ma artisticamente le strade hanno ormai preso direzioni molto differenti, come si evince anche dai loro repertori solisti.

A conti fatti, quindi, si può dire che nonostante tutto il glorioso nome dei Pink Floyd sia stato ben conservato fino ai giorni nostri, nella speranza di consegnare ai titoli di coda un finale degno.

Pink Floyd ““ A Momentary Lapse of Reason
Data di pubblicazione: 7 settembre 1987
Tracce: 11
Lunghezza: 51:09
Etichetta: EMI (U.K.), Columbia (USA)
Produttore: Bob Ezrin, David Gilmour

Tracklist
1. Signs of Life
2. Learning to Fly
3. The Dogs of War
4. One Slip
5. On the Turning Away
6. Yet Another Movie
7. Round and Around
8. A New Machine (Part 1)
9. Terminal Frost
10. A New Machine (Part 2)
11. Sorrow