Compito immane quello intrapreso dagli Ardecore e da Giampaolo Felici: recuperare e mettere in musica ventotto sonetti di Giuseppe Gioachino Belli, poeta cantore della Roma popolare e ottocentesca, gran fustigatore di usi e costumi che non risparmiava nessuno (neppure il Papa e la sua corte) regalando a ognuno una rima, un posto nell’universo letterario creato dalla sua penna sempre affilata. Opera onnicomprensiva anche se non enciclopedica quella proposta: disco doppio (prima parte uscita a giugno, seconda a ottobre) accompagnato da un libro illustrato che contiene i testi, le partiture, con prefazione dello studioso Marcello Teodonio.

La formazione degli Ardecore assume in questo caso una forma allargata, con Adriano Viterbini (I Hate My Village, Bud Spencer Blues Explosion) e Gianluca Ferrante (Kore) che hanno collaborato alle musiche e nei live ci saranno anche Giulio Ragno Favero (Teatro Degli Orrori) Jacopo Battaglia (Zu, Bloody Beetroots) Ludovica Valori (Nuove Tribù Zulu) Marco Di Gasbarro (Squartet). Impossibile non citare poi la partecipazione di Davide Toffolo (Tre Allegri Ragazzi Morti) in “Er cimiterio de la morte” e “Campa e llassa campà “, sonetti particolarmente rappresentativi della vivace scrittura del Belli.

La scelta di Felici e soci è quella ““ e non da oggi ““ di recuperare la tradizione facendola propria, adattando il passato al presente senza troppe paure e in effetti la poetica romanesca di Giuseppe Gioachino si sposa sorprendentemente bene con i tempi moderni. Il suo popolo che cerca di andare avanti e lo fa a fatica, raccontato in modo vivido ne “La poverella”, “La carità “, “Er negoziante fallito”, “La vedova co ssette fijji” o “La providenza” torna a vivere nell’interpretazione degli Ardecore, che immaginano nuove vesti per ogni personaggio.

Rock bonariamente psichedelico, folk, blues (“Caino” in particolare) echi western si rincorrono brano dopo brano in versioni sincere, cantate col cuore in mano e la passione di chi queste storie le vive sulla propria pelle. Menzione d’onore per “Accusì va er monno” sonetto che più di altri forse racchiudeva e racchiude la poetica del Belli, il suo vivi e lascia vivere che sfociava spesso in aperto sarcasmo e in un cinismo che non faceva a botte con l’umanità , che Felici ripropone in chiave confidenziale. Progetto pregevole quello degli Ardecore, che merita un ascolto attento.

Credit foto: Daniele l. Bianchi