Non avendo letto il libro da cui è tratto il “film del momento” di Netflix non posso sapere, e nemmeno mi interessa troppo saperlo, se i suoi difetti sono intrinsechi o li ha ereditati a piè pari dalla sua versione letteraria. Per farla breve, “Luckiest Girl Alive” soffre della stessa contenutezza che affligge la sua protagonista quando questa scrive per la prima volta della sua drammatica esperienza adolescenziale, preoccupandosi troppo di proteggere le persone coinvolte anche solo lateralmente nella vicenda o della loro opinione.
Ecco, il film di Barker si preoccupa troppo di piacere e arrivare a tutti, così non riesce però a graffiare, a fare male, a farci percepire davvero la rabbia e lo schifo provati da Ani, come dovrebbe succedere a fronte di un reato meschino come uno stupro di gruppo.
Altresì la sua struttura narrativa, con i segreti e le memorie della protagonista svelati a poco a poco, sbirciando tra le maglie della sua vita perfetta, funziona molto bene. Il ritmo è sostenuto quanto basta per avvincere senza soluzione di continuità e alcune scelte di regia sono molto azzeccate.
Tutta la parte della strage a scuola è girata molto bene e quando c’è da non lesinare in quanto a violenza il film non si tira indietro.
Molto bene la Kunis che riesce a somatizzare tutte le incertezze e i drammi irrisolti di una donna in carriera bardata in un’armatura firmata Gucci.