Nei tanto celebrati anni novanta, oltre alle ultime scene musicali decisamente rilevanti (basti pensare al grunge, al britpop o al trip-hop), ci fu tutto un proliferare di pop-star dal successo magari effimero ma comunque tangibile.
Tra le boy band la parte del leone la facevano sicuramente i Take That, ai quali secondo consuetudine anglosassone furono messi in contrapposizione degli epigoni, individuati negli East 17, ma poi sulla scia di quel filone uscirono in serie per prendersi il loro posto al sole anche Boyzone, Five e Westlife.
Sul versante femminile imperversarono invece le Spice Girls, inanellando un record dopo l’altro e assurgendo subito a fenomeno di costume.
Mancava però qualcuno che potesse dar loro filo da torcere e, almeno sul breve termine ci riuscirono in parte le All Saints, che esordirono esattamente venticinque anni fa col loro album eponimo.
La nuova girl band aveva tutte le carte in regola per adempiere al proprio compito: 4 ragazze giovani e belle che sapevano cantare in modo armonioso e ballare, ma di fatto in questo caso non si trattava di un prodotto costruito a tavolino per giocare su quello stesso piano.
Due di esse, infatti, Shaznay Lewis e Melanie Blatt, si conoscevano da tempo, erano grandi amiche e già avevano condiviso un’esperienza da coriste in duo, collaborando tra l’altro con una label la cui sede si trovava nella All Saints Road, vicino Londra.
Una volta entrate in contatto con le avvenenti sorelle Appleton, canadesi spostatesi in Inghilterra per studio e per inseguire il sogno di affermarsi nel mondo della musica, fu naturale quindi adottare proprio quella sigla che rievocava i loro inizi.
Certo, sempre di giovanissime si trattava (la Lewis e la Blatt avevano entrambe 22 anni, poco più grandi erano Nicole Appleton, 23, e sua sorella Natalie, 24) ma era evidente la voglia di aprire un nuovo capitolo della loro carriera in un momento in cui, finalmente anche in UK, si era aperto uno spazio discografico anche per le band tutte al femminile, laddove negli USA già da diversi anni si erano imposte al grande pubblico nomi come Salt’n Pepa, En Vogue e soprattutto le splendide TLC.
Ecco, più che un rapporto di competizione e rivalità tra le All Saints e le più famose Spice sembra semmai che queste ultime abbiano loro spianato la strada ma che non ci fosse mai il reale tentativo delle due formazioni di mettersi in concorrenza, anche se certa stampa tentò di accendere le due “tifoserie”.
Le All Saints però, al di là di non aver avuto un simile impatto dirompente nell’immaginario collettivo, sembravano discostarsi anche come stile, prediligendo morbide atmosfere soul-r’n’b’ (con quel pizzico di hip-hop che non poteva mancare) a quei momenti più movimentati e travolgenti.
Lanciate dal singolo “I Know Where It’s At”, dai toni sensuali, che già si mosse bene in patria arrivando al quarto posto in classifica, fecero il botto all’altezza di “Never Ever” pubblicato in prossimità dell’uscita del disco. Romantica e melodiosa ma con un ritmo che via via si fa incalzante, è la canzone più nota della loro storia e fu la prima a piazzarsi in cima alle charts inglesi, lambendo inoltre i piani altissimi anche delle classifiche americane e in gran parte dell’Europa.
Questo exploit fece da autentico volano al successo dell’intero album d’esordio, cui contribuì ottimamente (è giusto dirlo) un pool di produttori di tutto rispetto in ambito pop; e il ferro fu ben battuto se pensiamo che dal disco furono estratti altri quattro singoli, tra cui due cover, una piuttosto particolare della celebre “Under the Bridge” dei Red Hot Chili Peppers, e un’altra (“Lady Marmelade”) più fedele all’originale.
Meno successo ebbe l’ultimo estratto, l’intensa ballad “War of Nerves”, forse la traccia migliore dell’intera scaletta, più profonda nei versi, oltre che una delle poche che porta la firma del gruppo al completo.
Già , perchè pur coadiuvata da vari autori che sono intervenuti in fase di scrittura, era Shaznay Lewis la principale mente della band, quella che assieme a Melanie vantava un certo background, oltre che a mio parere la voce migliore.
Il fatto che a prendersi la scena fossero soprattutto le due sorelline Appleton di certo non aiutò a mantenere coeso il gruppo, alterandone oltremodo gli equilibri interni.
Più che altro perchè Nicole e Natalie ci riuscirono anche (o forse soprattutto) per motivi extra musicali, visto che la prima si fidanzò con Robbie Williams e poi con Liam Gallagher, alimentando molto le pagine di gossip, mentre la seconda si mise assieme a Liam Howlett dei Prodigy (con cui è sposata da vent’anni).
La crisi fu scongiurata con un secondo album comunque baciato da un discreto successo, forte soprattutto del convincente singolo “Pure Shores” incluso nella colonna sonora del fortunato film “The Beach” con un Leonardo Di Caprio appena baciato dal clamoroso successo di “Titanic”, ma si sarebbe poi palesata a più riprese, con le quattro che si divisero tra le polemiche salvo nel corso degli anni riunirsi in altre occasioni per lavori pressochè ignorati dal grande pubblico.
Non riuscirono più a tornare pienamente in auge e allora delle All Saints rimane soprattutto il ricordo di quel periodo, e di questo debutto in particolare, in cui seppero emergere grazie a canzoni nel loro genere gradevoli e a un’immagine di certo accattivante.
All Saints ““ All Saints
Data di pubblicazione: 24 novembre 1997
Tracce: 13
Lunghezza: 59:37
Etichetta: London Records
Produttore: Cameron McVey, Magnus Fiennes, Karl Gordon, John Benson, Johnny Douglas, Nellee Hooper, Neville Henry, Karen Gibbs
Tracklist
1. Never Ever
2. Bootie Call
3. I Know Where It’s At
4. Under the Bridge
5. Heaven
6. Alone
7. If You Wanna Party (I Found Lovin’)
8. Trapped
9. Beg
10. Lady Marmelade
11. Take the Key
12. War of Nerves
13. Never Ever (Nice Hat Mix)