è di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor”, di “Iosonouncane meno male che esisti”, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni”, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.

GAZEBO PENGUINS, C1PR14

Cenni di disgelo sulla scena, e a portare la fiaccola della ripartenza sono i veterani, sacerdoti di una scena che esiste da prima, e che non accenna a recedere. La conferma di una posizione culturale, intellettuale e artistica scelta anni fa e mai abbandonata: un voto da difendere, come direbbe il Boss, che non ha mai contemplato una resa. I Pinguini abitano il disgelo, con la pazienza di chi non ha mai smesso di cercarsi: è il tempo a produrre calore, e lo dicono loro.

ACHILLE LAURO, Che sarà 

Non lo so, sono perplesso ma alla fine lo ero anche la prima volta che ho ascoltato “Rolls Royce” e poi mi sono innamorato perso di Achillone; però di tempo ne è passato da allora, di costumi intraprendenti (utili forse a tenere in piedi uno show sul quale stava calando il sipario fin troppo in fretta) anche, di copie delle copie del primo sussulto ultrapop di Lauro pure. Ora, “Che sarà ” anch’essa presenta un ritornello che, alla fine, gira che ti rigira, è più o meno quello di “Rolls Royce”, e io non so che fare: continuare ad innamorarmi delle cose che già  conosco o sperare, un giorno, in un tuffo nell’ignoto?

MOBRICI, Luci del Colosseo

Il titolo ammicca a qualcosa che è davvero grande, grandissimo. Il Colosseo è pur sempre il Colosseo, e anche Mobrici è un bel monumento del nuovo indie, o almeno, fino a qualche tempo fa la sua statua sembra davvero capace di svettare su tutto il panorama indipendente, e di farlo con una certa autorità  data dall’autenticità  della proposta. Forse ci siamo abituati noi, forse si è abituato lui, non lo so e non lo sappiamo: in conclusione ci si trova a fare i conti con una canzone che un po’ ti aspetti solo leggendo il titolo del brano, e che il piglio un po’ “dark” (nella scrittura e nel cantato) non riesce a stemperare nel suo manifestarsi di tommasoparadisite. Malattia che, vuoi o non vuoi, finisce con il colpire chiunque provi a far pop ad alti livelli negli ultimi anni: c’è pure chi ne gode”…

MATERAZI FUTURE CLUB, MAX COLLINI, Luciano/Eriberto

Che vuoi di più, per oggi, di questo? Cosa puoi desiderare di più punk dell’incontro tra i Materazi e Collini che per l’occasione s’improvvisa (o meglio, si re-inventa) Buffa e racconta un’epopea calcistica quasi dimenticata che sa di provincia, di polvere e oblio, di sudore e sangue? Una scarica di adrenalina che rappresenta l’unico sussulto calcistico vero e proprio di queste settimane. Sì, quello che sta accadendo in Qatar ha decisamente meno a che fare con il calcio di quanto, invece, lo ha questo piccolo capolavoro del weekend.

JOHANN SEBASTIAN PUNK, Rinascimento (EP)

Che bel crossover quello del signor Punk, che in onore al suo nome d’arte riesce a mettere in piedi un’alchimia riuscita tra attenzione quasi barocca all’arrangiamento e composizione, e un certo afflato post-punk (con tinte fortemente pop) nella scelta dei suoni e nell’intenzione vocale (senza disprezzare, certamente, una ricerca elettronica di spessore); c’è un respiro quasi generazionale nell’approccio della scrittura, che finisce con il raccontare con semplicità  una dimensione interiore che urla per trovare, all’esterno, orecchie disponibili all’ascolto. E ce ne sono, eccome.

MATTEO ALIENO, Dimmi

Ogni volta, le canzoni di Matteo mi convincono che un’alternativa al prevedibile esiste anche tra gli interpreti della mia generazione, educati come lo siamo stati a pane e comodità  e ad una certa propensione per l’autoscarnificazione che deriva dall’emulazione di qualcosa che, alla fine, neppure ci piace troppo fare. Ecco, Matteo ha una propria dimensione intimistica e allo stesso tempo dal piglio punk, dotata di una penna che sembra un bisturi e di una visione estetica figlia certo del proprio tempo, ma orientata a superarlo.

STUDIO MURENA, Corri

Alza i BPM cardiaci il nuovo singolo degli Studio Murena, che piazzano il pepe laddove non dovrebbe essere strofinato per far mettere in moto gambe e cuore, e far esplodere la bile di uno stomaco che pare non riuscir più a contenere la rabbia esplosiva del progetto: la scrittura è quella dei bombaroli per professione, il gusto nell’arrangiamento quello dei poeti; nell’alchimia delle parti, indubbiamente, sta il segreto del successo artistico dell’impresa. Proprio di oggi l’annuncio della nuova uscita “Marionette”, con Danno (storico membro de Il Colle der Fomento).


QUALUNQUE, Namecc

Sale la nostalgia solo a leggere il titolo del brano, poi parte quella chitarrina da pianto a dirotto e allora sai già  di essere fottuto; e non è ancora cominciata la canzone che sei già  in un angolo a cercare di raccogliere cocci troppo piccoli. Ma la verità  è che Qualunque, alla fine, ti mette in mano anche la colla, ti dà  un bel calcio al culo e finisce con l’iniettarti la (s)fiducia necessaria per pensare che in fondo va bene anche così, e che siamo tutti sulla stessa barca alla deriva. Insomma, mal comune mezzo gaudio.

LE CANZONI GIUSTE, Tisca Tusca Topolino

E’ stato un fluire di sensazioni strane ad accompagnarmi nell’ascolto di quella piccola epopea grotesque che è “Tisca Tusca Topolino”, campionario di atti da Grinch in una salsa croccantemente caparezziana, che l’ambientazione vivida dipinta dalla valida penna delle Canzoni aiuta a proiettare su un brano divertente, anti-favolistico, un po’ come la vita.

LAZZARO, Oro

Abbiamo scoperto Lazzaro solo qualche settimana fa, al suo debutto con “Fears”: il cantautore toscano sembra ben deciso, ora che è risorto da vite precedenti che lo braccavano come un animale in fuga, a non fermare il suo percorso di rivitalizzazione, senza però dimenticare i contorni di una consapevolezza che pare provenire dall’attraversamento delle tenebre più profonde. Dopo aver parlato di paure (e dei loro sfocati confini), Lazzaro condanna con una ballata eterea e concreta allo stesso tempo, a cavallo fra luce e ombra, la società  delle apparenze. Catartico.

SCARAMUZZA, Misericordia (EP)

Inutile che vi ripeta per l’ennesima volta l’importanza che ha per me la musica di Marco, cantautore veneto che dedica a sè stesso e ai propri simili (alla cui sempre più nutrita schiera sento di appartenere) un disco che racconta gli usi e gli abusi della quotidianità  nel modo più elegante possibile: un folk d’altri luoghi dalle fondamenta di Misericordia, nella laguna veneziana, guarda verso le selve oscure del nord Europa, grazie alla magistrale lettura di Novecento alla produzione. Una manciata di tracce fatte per far bene al cuore, senza dimenticare stomaco e testa.

PALMARIA, Chameleon (EP)

Super cool il nuovo EP dei Palmaria, che dopo aver pubblicato i sei settimi del disco via singolo aggiungono alla tracklist del loro short album un brano di chiusura che si pone come la ciliegina giusta su una torta gustosissima, fatta di colori sgargianti e di ingredienti giusti ed adatti per poter gettare un ponte importante tra Belpaese e resto del mondo; con l’orgoglio dei natali, italiani, del duo e del nome, extra-local, dei Palmaria. Che, per chi non lo sapesse, è l’isola più “wild” del Golfo dei Poeti, La Spezia, casa (anche) mia.

RICCARDO DE STEFANO, Era Novembre

Scende di nuovo in campo, dopo le esperienze musicali giovanili e anni di giornalismo musicale, Riccardo De Stefano, che torna ad imbracciare chitarra e (soprattutto) sintetizzatori in un brano che mescola intimismo e slancio “eroico” a passo di cavalcata synth-wave in piena regola; la scrittura si fa apprezzare, ammiccando alla scena indie degli albori, The Zen Circus su tutti.

TIA AIROLDI, MARCO GILIOLI, Almost

Che delicatezza, che gusto fine quello di “Almost” che con il passo di una Pavlova dorata entra dalla serranda di un weekend davvero invernale e illumina con leggerezza lo sfondo di una giornata speciale, di una giornata diversa. Un incontro mistico, quello fra i due, che porta in effetti a risultati speciali, convincente, emozionanti.

LEFRASIINCOMPIUTEDIELENA, Lucida

Bel piglio dal retrogusto quasi grunge quello di “Lucida”, brano pop che gode eccome del timbro di una voce che ormai conosciamo e di una ritmica che in modo incessante sostiene l’intera architettura della canzone, dotata come sempre di una poesia che lascia gridare con entusiasmo al ritorno del cantautore pugliese.

ESTEBAN, Meda

Sonorità  sospese con piglio sardonicamente ironico in “Meda”, il ritorno di Esteban, nome che abbiamo avuto modo di apprezzare negli ultimi mesi. Non mi fanno impazzire le scelte di suoni, forse un po’ troppo “artificiali”, ma la canzone ha un andamento beat che si fa godere con leggerezza. Un po’ Shel Shapiro, un po’ Chiello.

DE LA ROIX, Da 1 a 10

Esordio convincente per il cantautore e producer barese, che con un gusto che oscilla tra CCCP, Subsonica e Negrita tira fuori dal cilindro un testo interessante, su una produzione dalle tinte fortemente elettroniche; punto in più per le chitarre distorte che animano le strumentali del brano, forse il saliscendi continuo del brano leva stabilità  all’ascolto, ma qui si entra davvero nel gusto personale. Molto inizio 2000, nel modo giusto però.

ERASMO, Incasinato (album)

Sette tracce sotto il segno del crossover per il nuovo disco di Erasmo, rapper pugliese che riesce a farsi godere anche da chi non è un appassionato del genere perchè, qui, il genere diventa solo un’etichetta che finisce con lo stare stretta alla penna di Erasmo: il timbro aiuta incursioni nel folk e nel rock che rendono il caleidoscopio di “Incasinato” ancora più luminoso, e rifrangente.

ALFIERO, Il mio padrone

Solito piglio leggero al quale ci ha abituato Alfiero – sì, ma solo nelle venature di una voce che sembra tanto sottile da potersi spezzare, e che invece finisce con lo spezzare chi ascolta: il testo è forse uno dei più belli che potrete ascoltare oggi, quindi non fatevi pregare ed entrate in una delle poche canzoni coraggiose del weekend.

HOFMANN ORCHESTRA, L’importante è esagerare

Non mi dispiace affatto lo slancio dinamitardo del nuovo singolo dell’orchestra più esplosiva del weekend, che qui esagera eccome (anche se, ormai, alle loro esagerazioni, ci siamo quasi “allenati”: abituarsi, mai”…) e tira fuori dalla tasca una miccia che a quanto pare è collegata ad una serie di cariche piazzate proprio sotto il vostro culetto. Fatevi saltare in aria.

MENEGUINNESS, Night of the Banshee

Un po’ irish, un po’ yiddish, un po’ balcanici e tanto brianzoli i Meneguinness, che solo per il nome che portano meriterebbero un plauso ad ironia e genialità : tecnicamente, poi, si fanno valere eccome lanciandosi in una cavalcata che farebbe vedere i mostri anche ai meno paurosi. Gasano!

WASABE, Calmami

Mi piace il trattamento delle voci su “Calmami” di Wasabe, che gode certamente di un timbro e di una capacità  di stare sul timing che crea fin da subito una sensazione sorniona di movimento che riesce ad esplodere con efficacia in un ritornello che convince con semplicità , senza troppe pretese.

HERTZEN, Secret Sins

Piglio a metà  tra Joy Division e Smiths (insomma, mica male) per gli Hertzen, che confessano tutti i propri più segreti peccati in una ballad che si tiene in piedi su una macina ritmica incessante, coadiuvata da una sonorità  del basso che conquista fin da primo ascolto. Niente male!

ROSS, Ti prendo per il cuore

Sound quasi sanremese per Ross, che prende il cuore in mano e lo lancia oltre l’ostacolo con una canzone che si incolla subito al petto come miele, alzando il livello del diabete senza provocare però danni concreti: il ritornello è proprio simpatico, e nel complesso il brano è una buonissima hit.

CILIO, 20/22 (album)

Quattro canzoni che mescolano r&b, rap e un funky che rimanda al primo Jovanotti, al Neffa degli esordi e ad una vena cantautorale che ammicca chiaramente tra le trame un po’ lo-fi di un EP che si fa apprezzare sin primo ascolto per autenticità  e onestà  emotiva.

SCIO, Pseudoumani

Sonorità  che scendono nel dark per Scio, che in “Pseudomani” dipinge l’agghiacciante ritratto di un’umanità  allo sbando e persa a cercarsi nel riflesso di smartphone e di specchi ormai ridotti in cocci: la vocalità  di Scio guida quasi in maniera ieratica l’ascoltatore nel lasciarsi andare ad un ritmo tribale che sa di catartico.

CORTELLINO, Mente libera

Per me Cortellino è uno dei migliori interpreti della nuova canzone d’autore italiana, con una penna che taglia e cuce come vuole e tu non puoi far altro che prestarti da cavia e farlo, tra l’altro, ben volentieri: “Mente Libera” è una piccola epopea rock che parte dai Marlene Kuntz e arriva a Benvegnu, in un modo che però è tutto “Cortellino style”. Il cantautore triestino si conferma uno dei pochi motivi per i quali abbia ancora senso seguire la scena nazionale.

THE BORDELLO ROCK’N’ROLL BAND, Ufu

Si muovono le anche e si subbugliano gli stomaci per stare dietro ai riff infuocati della Bordello, che a colpi di chitarroni e di un testo in italiano che non ti aspetti cuce addosso a chi ascolta una sfrenata voglia di finire all’American Dinner, cantare “Tuttifrutti” di Little Richard  in uno slang poco credibile e portare via la cameriera a bordo di una DeLorean d’annata. Il tutto, ovviamente, con un livello alcolemico sufficientemente elevato.

MICALI, Sorriso

Mi piace come parte la chitarrina un po’ svogliata di “Sorriso” di Micali, sulla quale s’incastra un groove che accompagna con tranquillità  “chillosa” la poesia leggera di una canzone che si lascia ascoltare con piacevolezza. Il timbro di Micali potrebbe essere spinto verso un azzardo vocale un po’ più entusiasmante, ma è anche vero che il mood compassato del brano impone un’attenzione di questo tipo anche alla voce dell’artista.

REBENGA, Luna

Ah, ma qui c’è del rock old school! Bella cavalcata quella di “Luna”, che mescola autotune e chitarroni per far slanciare il graffio della voce, certo, il testo ricorda un po’ troppo la scena emo di inizio 2000 (con incursioni nella scena dance degli stessi anni, con qualche citazione ben nascosta nell’evolversi del ritornello) ma di certo il risultato finale rimane godibile.

ALFIERE, Today

Torna anche Alfiere con un singolo diverso, cantato in una lingua diversa rispetto a quella alla quale ci aveva abituato il cantautore: l’inglese, di certo, gli sta bene addosso eccome, sopratutto perchè gli permette di liberare un certo afflato “diva-pop” che riporta il barometro alla giusta leggerezza, con un incedere che mescola Amy Winehouse, Mika, Elton John e scena di Broadway con la stessa semplicità  ed immediatezza che solo le cose “autentiche” possono vantare di avere.

ELETTROGRUPPOGENO, Sudococa

Devo ancora riuscire a decodificare del tutto il mio pensiero su “Sudococa”, il brano che non mi aspettavo ma che in effetti finisce con il rendermi dipendente dalla musica di Elettrogruppogeno, banda di folli che riesce a mettere in piedi una basilica pop in costante equilibrio fra chic e kitsch: di certo, c’è da apprezzare il coraggio sfrontato del progetto, che appare sempre meno “assurdo” più ci si concentra sulla qualità  di produzione musicale che sta alla base del tutto. Il ritornello è un vero e proprio mantra profano, anzi, profanissimo.

HACK, Inaktuell

Fascino nordico per l’ultimo EP di Hack, che in provetta mescolano pop nazionale e un certo piglio elettronico che piove come manna su tutta la tracklist di un lavoro intenso, che racconta una visione del mondo interiore che si fa esteriore al primo ascolto. Una buona vocalità  che forse merita di pensarsi in maniera ancora più “antidiluviana”, magari spingendosi verso una maggiore ricercatezza melodica aiutata da una produzione che possa aiutarla a crescere.

ALOSI, Blues Animale

Che tiro, che fotta, che voglia di rock’n’roll nel nuovo singolo di Alosi in accoppiata con Adriano Viterbini! Tre accordi, una pentatonica che s’incolla perfettamente alla spinta emotiva di un brano che trasuda ormoni e lo fa con la sensualità  ferina della belva; c’è una penna che incide, scava, e finisce con il ricordare anche un po’ gli Skiantos, per quell’uso al limite della voce che non recede in ironia, anzi: che giocando, si prende ancor più sul serio.

VOLPE, Panico

Non mi aspettavo una svolta simile da Volpe, o forse invece sì, perchè alla fine si legge eccome nella nuova formula del cantautore toscano la voglia di lanciarsi in diversi modi di “giocare”, magari sfiorando pure estetiche che non avresti detto appartenergli, che si è sempre lasciata intravedere in controluce attraverso le pubblicazioni precedenti. “Panico” è un incursione nel mondo del rap con il piglio del cantautore, e il risultato finale è caustico e, allo stesso tempo, godibile eccome.

THE DAILY RATION, Summer In Crisis Parfum Prohibited

Bello slancio da pirati per The Daily Ration, che inanellano un nuovo singolo dal retrogusto apertamente post-rock, dotato di una certa energia quasi punk: c’è dentro una precisa ricognizione dei mostri sacri del genere trasformati in una piccola cavalcata che avanza a colpi di distorsore e valvole roventi.