10. NILUFER YANYA
Painless
[ATO Records]
La nostra recensione
Ascoltare Nilà¼fer Yanya è cool come ascoltare Billie Eilish, che pure non è male, ma non regge alla distanza e puoi sentirti più evoluto di quelli che ascoltano Billie Eilish. Promossa a pieni voti la seconda prova della cantautrice inglese di origini turco/caraibiche: melodie e canzoni che rimangono appiccicate a lungo per una prova di indie-pop maturo.
9. PORCUPINE TREE
Closure/Continuation
[Sony Music]
La nostra recensione
A sorpresa tornano, dopo 12 anni, i re del post prog. Un disco che non lascia a bocca aperta ma che, comunque, rappresenta una solida e convincente prova di alta perizia tecnica e musicale. Dal prog metal di “Harridan”, “Rats Return” e “Herd Culling” al rock melodico di “Of the New Day” e “Dignity”, la band rivisita gli stilemi che l’hanno fatta grande unendovi un sound più contemporaneo che sicuramente le sta portando nuovi adepti tra i più giovani.
8. ERIC CHENEAUX
Say Laura
[Constellation Records]
“Say Laura” pesca dal folk e da certa psichedelia anni ’70 alla John Martyn e Robert Wyatt, inserendosi nella tradizione del post-rock, suonato da qualcuno che ben conosce il jazz. L’artista franco-canadese-svizzero vanta una ultra trentennale carriera musicale che lo ha visto frequentare scene disparate: dal punk, al jazz, all’avanguardia. In una carriera dedicata all’innovazione, alla ricerca artistica costante, “Say Laura” è forse la sua opera più accessibile ad oggi.
7. CATERINA BARBIERI
Spirit Exit
[light-years]
Una musica mistica, poetica o addirittura fantascientifica che, mentre la si ascolta suggerisce la possibilità di mondi infiniti, sia dentro che fuori la nostra mente. Musica che si accorda bene con un ascolto notturno sotto ad un cielo stellato. Allo stesso tempo, dal muro di sintetizzatori modulari che dominano l’elettronica di Caterina Barbieri fuoriesce una ricerca costante della melodia che strega l’ascoltatore.
6. 50 FOOT WAVE
Black Pearl
[Fire Records]
La nostra recensione
Un disco di una bellezza spettrale, in soli 32 perfetti minuti. Sette tracce che si prendono il proprio tempo, lente. Una perla. Ma nera, come il colore di questa musica scura. Allo stesso tempo, un hard/math rock abbagliante come la luce nella foto di copertina. Che ci prepara all’ingresso in un luogo di una bellezza inquietante. Probabilmente reale, eppure straniante.
5. EZRA COLLECTIVE
Where I’m Meant to Be
[Partisan]
La nostra recensione
“Where I’m Meant to Be” riassume nel suo viaggio musicale diverse culture e attitudini con origini nei luoghi più vitali del pianeta. Una celebrazione della vita intesa a portare gioia a chi l’ascolta. Un disco che suona già sentito per i tanti ovvi riferimenti a stili precisi, ma che al contempo propone una miscela mai sentita prima, tra jazz, afrobeat, hip-hop, funk, reggae, salsa.
4. JEAN MICHEL JARRE
Oxymore
[Columbia]
Sul fatto che Jarre sia un genio non ci sono discussioni da almeno 45 anni a questa parte, ai tempi dei grandi successi di “Oxygene” e “Equinoxe<“, vere e proprie pietre miliari nella fondazione della musica elettronica. La vera notizia è che il tizio sia tuttora un genio assoluto, capace alla sua età di continuare a stupirci. Mentre in moltissimi casi l’audio immersivo, o spaziale che dir si voglia, è una esperienza superflua, in questo caso, diventa una necessità .
3. KING HANNAH
I’m Not Sorry, I Was Just Being Me
[City Slang]
La nostra recensione
“Blues ““ Che sembra trip-hop ““ Ma senza elettronica ““ E con un pò di Pink Floyd”: blues psichedelico, in due parole. Questa la definizione che mi viene in mente all’ascolto del primo album di King Hannah. Un’opera, dopo l’EP di esordio del 2020, che convince in pieno sulla stoffa di questi due ragazzi che propongono un progetto improntato a una onestà disarmante quanto nostalgico nei suoi punti di riferimento musicali e estetici.
2. THE SMILE
A Light for Attracting Attention
[XL]
La nostra recensione
Che fossimo in territorio “genio assoluto” si sapeva da tempo, parlando di Greenwood e Yorke. “A Light for Attracting Attention” segna un nuovo capitolo nella loro strada verso l’immortalità artistica. Un capitolo che non sembra inventare nulla, tra recupero del loro stesso passato e interpretazione del presente. E che pure inventa un nuovo disco e una nuova band, di luminosa bellezza entrambi e che resteranno impresse nei nostri cuori.
1. MAKAYA McCRAVEN
In These Times
[International Anthem]
In questo disco c’è la visione di una musica che, pur rimanendo ben ancorata ai grandi del passato, guarda avanti, accompagnandosi a un progresso e a una interculturalità globale entrambi innegabili. Il risultato è un disco che non stufa mai, conciso quanto basta (41 minuti divisi su 11 tracce) per volerlo riascoltare in loop, sorprendendosi ad ogni ascolto di un dettaglio sfuggito in precedenza. Oltre il jazz, la world music, la fusion, l’hip-hop o qualunque altro genere, c’è Makaya McCraven con i suoi sodali della benemerita International Anthem Recording Co. (Angel Bat David, Alabaster DePlume, Jaimie Branch RIP, Ben Lamar Gay, ecc”…), che guida da qualche anno un movimento sempre più diffuso e che passerà certamente alla storia.