Nel 2022 fa un po’ strano salutare un nuovo film di Spielberg come la migliore pellicola dell’anno, nonchè un’opera che non teme il paragone con le migliori del cineasta americano. Eppure dopo una roba come “The Fabelmans” sarebbe disonesto non farlo.
Steven ci apre la porta della sua gioventù, di quando nel mezzo di una famiglia che sembrava rifiutare la crisi che stava vivendo si appassionava al cinema. Romanzandole un po’, si tratta infatti di una racconto semi-autobiografico, ci porta dunque alle intime origini del mito.

Il risultato è una via di mezzo tra “Hugo Cabret”, l’incanto del giovane Sammy Fabelman che scopre il cinema attraverso i western di Ford non può che ricordarlo, e “Licorice Pizza”, sia per i toni da coming of age delicato che per l’omaggio alla magia di una decade, in questo caso gli anni ’60. “The Fabelmans” è però molto meglio di entrambi.

Le parti in cui il giovane Fabelmans monta i suoi primi film, inventando i suoi primi geniali trucchi, o anche soltanto i filmini ricordo di famiglia sono letteralmente magiche. Non sono però da meno le struggenti ricostruzioni della crisi familiare affidate ai volti sfaccettati di Paul Dano e Michelle Williams o le spietate scene scolastiche a base di prime cotte e antisemitismo.

La perfezione stilistica di ogni scena eccede la perfezione. A momenti si ha l’impressione che quando Spielberg compone un quadro ti controlla anche da che parte tieni girato il cazzo nella mutanda, non sia mai la piega sul cavallo sia asimmetrica alla silouoette di una nuvola. Non si può che dire lo stesso di ogni aspetto del comparto tecnico o finanche della colonna sonora dell’immarcescibile John Williams.

Lunga vita a zio Steven dunque.

Viene da piangere a pensare che dopo aver fatto sognare e riflettere la generazione dei miei genitori, la mia e tutte quelle in mezzo, non potrà  fare lo stesso con quella dei miei bimbi.