I Bobby Joe Long’s Friendship Party sono un gruppo capitolino giunto da poco al traguardo del quarto album, da noi calorosamente recensito e pure classificatosi nella nostra top 10 italiana di fine anno. Dopo gli esordi più crudamente post-punk di “Roma Est” (2016) e “Bundytismo” (2017), seguiti da “Semo solo scemi” (2019) a completamento della loro personalissima ‘Trucilogia’, l’ultimo lavoro ha alzato notevolmente la posta e attratto sempre più attenzioni da parte delle riviste specializzate.
Abbiamo incontrato Henry Bowers, ideatore e anima del progetto, per discutere del passato e del prossimo futuro di questa band peculiare del panorama musicale nostrano.
Ciao Henry, l’ultimo album mi sembra rappresenti una cesura netta col passato. L’ho trovato molto più immediato, ed anche se di solito non è un complimento, secondo me ciò l’ha reso davvero molto coeso, senza sacrificare praticamente nulla del vostro marchio di fabbrica.
Il fatto che lo trovi immediato significa che l’album è riuscito, e lo prendo come un complimento, perché volevo fare qualcosa di più immediato (titolo e copertina sono emblematici in tal senso), sia nei testi che nella struttura melodica dei brani. Quando stai al quarto album c’hai da guardarti indietro, determinate cose le hai fatte ad una certa maniera, altre le hai scritte, e dunque mi sono reso conto che andava provato qualcosa di differente, più diretto.
Quali sono stati i cambiamenti più importanti nel progetto rispetto al precedente lavoro?
Nel modo di lavorare ho cambiato tutto, in parte perché le demo le ho dovute fare nel calvario della pandemia, tra lockdown, zone rosse e zone gialle, e per determinate soluzioni mi sono affidato alle capacità di chi collabora con me, e in parte perché ho voluto registrare tutto o quasi in analogico e fare un prodotto di livello sotto ogni aspetto. E penso (non è solo un mio parere) di esserci riuscito, la fatica è stata ripagata e i BJLFP hanno fatto un ulteriore salto di qualità complessivo.
La nostra recensione conferma questa tua sensazione! Ma passiamo alle liriche: per quanto i vostri testi giochino volentieri con la libera associazione di idee, spesso volutamente surreali e paradossali, personalmente non riesco a non vederci anche delle letture cinicamente lucide della nostra attualità.
È mia chiara e netta intenzione mettere tanto dentro i testi. Vengo dall’arte, e intendo i BJLFP come un prodotto che deve essere tramandato, non semplicemente consumato sul momento. Quando costruisco un testo considero molte cose, come comunicare quello che voglio comunicare senza appesantirlo o disperderlo, e, soprattutto, cercando di mantenere l’ironia e la spontaneità che m’appartengono e mi identificano, definendomi per quello che sono nella realtà.
È quindi tua precisa intenzione comunicare certi messaggi, magari “subliminalmente”, nascondendoli tra le righe, o i lavori dei BJLFP vanno intesi esclusivamente come un fatto musicale?
Quando scrivo un testo immagino che mi debba sopravvivere, e che arriverà anche a chi non mi conosce personalmente, dunque voglio sia una testimonianza di come sono, di come ho vissuto, degli interrogativi o delle problematiche esistenziali che m’hanno tormentato e via discorrendo. Un disco per me è narrativa. È come se scrivessi un romanzo quando faccio un album: cerco di metterci dentro più cose possibili e farle interagire con la narrazione. A volte sembrano cose buttate lì, ma invece tutto è considerato, pensato e ripensato.
Potresti consigliarci qualche band/progetto di Roma con cui condividete, se non il genere, almeno le prerogative, l’approccio, o semplicemente citare artisti che stimi o ti piacciono molto, e che ritieni meritevoli di attenzione da parte della stampa musicale?
Non penso di condividere niente con nessuno, ma non per una delirante aristocrazia intellettuale (quella la lasciamo ad altri), proprio per empirismo: i BJLFP sono una strada solitaria, un percorso, e più vado avanti più mi rendo conto di quanto sia unico, per estrazione e formazione. Di artisti che si stimano ce ne sono tanti ma non mi piace parlare del lavoro altrui, perché si rischia di risultare superficiali o imprecisi. Posso dirti che prima ero meno attento a quello che girava in Italia e a Roma, e devo ammettere che tante cose sono veramente fiche e ben fatte, ma preferisco non entrare nello specifico.
State già lavorando ad un nuovo album o a qualche altra uscita, o collaborazione?
L’idea è quella di far uscire tutto quello che mi va, anche roba che non può attendere la burocrazia della musica ma che deve rispettare l’urgenza del momento, e dunque qualcosa sarà un po’ più lo-fi del solito. Al contrario, per lavorare ai nuovi brani che faranno parte del prossimo album questa urgenza non ci sarà, e bisognerà anzi calcolare attentamente ogni aspetto, compresa la produzione, che dovrà avere uno standard elevato come l’ultimo album. Fatto sta che voglio far uscire un sacco di roba, perché i BJLFP sono prima di tutto una necessità artistica: e questo fatto, dopo quattro album, penso sia palese.
Ci puoi dare qualche anticipazione?
A breve uscirà “Obbligo Prassi e Filosofia” un singolo che rientra nel discorso dell’urgenza e che sarà pubblicato a bruciapelo e senza nessuna forma di promo, nella stupefacente e strabiliante tradizione BJLFP che tanto piace ai fan che ci seguono. Ad altri lasciamo i sogni di gloria, noi ci teniamo stretti gli incubi di Roma Est (che nun ce accannano mai…).
E noi, nel ringraziarti, non possiamo che concordare e farti un in bocca al lupo!