Arriva finalmente anche da noi Gaz Coombes che, dopo almeno un paio di annullamenti, per altro non legati alla pandemia, aveva saltato l’Italia per gli ultimi due tour, nel 2019 a supporto di “World’s Strongest Man” declinando, in extremis, l’invito e stesso leit motiv, la scorsa estate, per le date reunion del tour europeo dei Supergrass.
Poco male, perché passa da Milano sicuramente con il suo disco più bello da solista e altrettanto si possa dire essere il lavoro più ispirato da un pò di tempo a questa parte (mi sento di parlare in generale in ambito di songwriting britannico), ragionevolmente, già uno dei dischi di questo 2023 e in materia di classic brit pop era da un pò che non si sentisse un album così ricco e completo in termini di scrittura, senza magari sbilanciarsi troppo e fare paragoni complicati con quei dischi che hanno marchiato a fuoco gli anni novanta, anche perché contestualizzati in una scena e filosofia esistenziale, va detto che qui siamo davvero ai piani superiori e l’asticella è alta.
“Turn the car around” è il quarto di questa sua carriera solista, che fa seguito ai già più che buoni “Here Come The Bombs”, “Matador” e “World’s Strongest Man”, punta ad essere una piccola pietra miliare di un certo cantautorato, cercando anche di dare una rinfrescata e una reinterpretazione di quel movimento.
Questo disco, che al sottoscritto ha davvero sorpreso per la qualità, oltre ad essere ben confezionato, merito anche del produttore Ian Davenport, è capace di dare un suono raffinato, tradizionale e moderno allo stesso tempo e ci riporta ad una tracklist, dove non ci sono riempitivi, spesso prerogativa di molti dischi usciti nella golden age ed è questo il suo più grande punto di forza, le nove canzoni sono tutte belle.
Quindi non poteva esserci momento migliore per vedere anche in Italia, Gaz, meno popolare di alcuni compagni di viaggio, ma sulla stessa frequenza d’onda per una carriera ormai di un certo spessore e una considerazione o riscontro che non rende giustizia ad un artista che va annoverato tranquillamente nel gotha di genere.
Stasera tocca alla Santeria ospitare la tappa italiana, orari rispettati a dovere, quindi alle 21,30 inizia, lo dico subito, uno dei concerti più belli degli ultimi tempi, dove si ha la netta sensazione che più di così non si potesse umanamente fare, la perfezione assoluta, sia per quanto riguarda la fonia, dove tutti i suoni erano incastrati a dovere, sia per il pathos, l’empatia, l’eleganza, la cultura, tutto ciò che si possa mettere in un’ora e mezza di performance da incorniciare.
Mi sembra più che lecito ripetere, ricollegandomi al pensiero scritto sopra, quanto Gaz sia assolutamente sottovalutato, almeno fuori dal Regno Unito, ieri c’era uno zoccolo duro di affezionati, una discreta affluenza, ma numericamente siamo ben lontani da quei risultati, che si meriterebbe ad occhi chiusi. A conti fatti non ha nulla da invidiare ai suoi stimati quanto osannati (giustamente) colleghi.
Tornando al live, band di otto musicisti, una big family a tutti gli effetti e l’alchimia si sente eccome, una scaletta clamorosa, dove tutto l’ultimo disco convive con parte del repertorio solista. Tralasciando la discografia dei Supergrass che ha fatto storia (rimarranno pur sempre un capitolo importante del brit rock), anche nel suo percorso in autonomia si scomodano i piani alti, e brani come “Wounded Egos”, la title track “Turn The car around”, o la bellissima “Long live The Strange”, l’accoppiata “The Oaks” e “The girl who fell to earth” eseguite in solitaria, sono solo alcuni episodi pescati a caso dal mazzo, il tutto per sottolineare ancora l’enorme qualità buttata sul piatto.
Saluti che diventano strette di mano con le prime file con la promessa di rivedersi da lì a 10 minuti per una birra, per chi volesse aspettarlo, è solo il migliore dei congedi di un autentico, piaccia o meno, fuoriclasse.