Quando Albarn ha accennato a un ottavo album dei Gorillaz, ci saremmo aspettati praticamente di tutto – tranne l’avvicinamento al reggaeton, e pure ben riuscito. Ma facciamo un passettino indietro.

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Da poco abbiamo avuto il piacere di ascoltare “Cracker Island”, l’ultimo lavoro del progetto Gorillaz, in cui Damon Albarn ha decisamente dato il meglio di sé – e si è palesemente divertito da matti. In primis perché è un album molto improntato sul concept e una storia a tema occulto (e culti). In secundis, perché è uno dei lavori più disco e orecchiabili di tutta la discografia del gruppo. Ciononostante c’è tanta critica al consumismo, alla ricerca ossessiva delle distrazioni effimere (come le droghe) e della fama, nonché di chi ha un’esistenza così vuota che fa dell’adorazione di persone famose l’unico tratto della propria personalità. Una società che crolla sempre più su se stessa, ma a un ritmo decisamente funky. Alcuni parlerebbero di “un paese di canzonette mentre fuori c’è la morte”, ma torniamo ai Gorillaz – anche perché, a dirla tutta, quelle da “Cracker Island” non sono semplici canzonette, anzi. Pur essendo in minor numero del solito (solamente 10, contro le 15 della versione deluxe), ci troviamo davanti un disco solido e coerente, proprio tipico dei Gorillaz che ci piacciono, ma con un pizzico di novità.

Il disco parte a bomba con la title track, dove il basso di Thundercat fa da protagonista, e riesce in un battito di ciglia a trasportarci in quest’isola misteriosa, esotica ed esoterica, dove è tutto un trip costante, nel miglior senso possibile. Promosse tutte le collaborazioni di questo disco, in primis “Tormenta” con la star portoricana Bad Bunny, una sperimentazione simil reggaeton perfettamente riuscita. Ottima anche la comparsa di Stevie Nicks in “Oil”, una malinconica ballad (ma pur sempre disco) a tema amore e internet. Inevitabile la collaborazione anche con il progetto Tame Impala, che insieme ad Albarn e al rapper Bootie Brown danno vita a “New Gold”, forse la traccia più groovy del disco, nonché una delle meglio riuscite. Leggermente più deludente la versione deluxe dell’album, dove si aggiungono remix improbabili (come quelli di “New Gold” da parte di Dom Dolla) o pezzi alquanto comici, come “Captain Chicken”, o ancora brani più tamarri come “Controllah” con MC Bin Laden. Non male però la più soft “Crocadillaz”, in collaborazione con i De La Soul e la voce calda della giamaicana Dawn Penn.

Non possiamo che inchinarci davanti ai Gorillaz, che contro ogni aspettativa sono riusciti a creare un album orecchiabile, unendo collaborazioni più o meno improbabili alla loro pazza creatività, che riesce sempre a non stancare. Chapeau.