Erano mancati da un po’ di anni dalle scene, ma a novembre 2022 gli Ulrika Spacek erano finalmente tornati a suonare insieme: i loro lavori più recenti, l’EP “Suggestive Listening” e l’album “Modern English Decoration”, erano datati aprile 2018 e giugno 2017 rispettivamente, ma nei giorni scorsi è arrivato anche questo terzo full-length, realizzato come sempre dalla Tough Love Records.

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Dopo anni on the road la band inglese avrebbe avuto bisogno di una pausa, ma comnunque a metà 2018 ha iniziato a lavorare su questo nuovo disco: dopo aver dovuto abbandonare KEN, il loro spazio creativo nonché la loro casa, diventato l’ennesima vittima della violenza della gentrificazione, gli Ulrika Spacek hanno dovuto traslocare, iniziando a lavorare in uno studio a Hackney e anche questo è stato uno dei tanti traumi di cui parla questo titolo.

All’arrivo della pandemia il mondo si è dovuto fermare e il gruppo di stanza a Londra si è ritrovato separato e con tanto tempo a disposizione per riflettere su ciò che era stato registrato fino a quel momento: solo quando finalmente è stato possibile ritrovarsi in uno stesso luogo la formazione britannica è poi riuscita a portare a termine questo lavoro.

La opening-track “The Sheer Drop” ci porta immediatamente verso delicati, ma dolorosi mondi psych-rock disegnati con i synth, prima di tuffarsi in qualcosa di più noisy e ossessivo verso il finale del pezzo, mentre le chitarre riescono comunque sempre a trovare un’apertura melodica davvero gradevole e delicata.

Poco più avanti troviamo la bellissima, seppur malinconica “Lounge Angst”: anche qui la voce di Rhys Edwards ci trasporta verso territori psichedelici, ma allo stesso tempo l’eleganza della strumentazione, in particolare nelle percussioni, aggiunge un tocco jazzy, inaspettato quanto gradito, che dimostra ulteriormente il valore della band di stanza a Londra.

La title-track “Compact Trauma”, invece, non ci lascia quasi respirare con i suoi potenti riff di chitarra, i suoi rumorosi synth e i suoi ritmi distorti in un viaggio attraverso un’ansiosa dose di energia; solo nella parte finale ecco arrivare un tocco delicato e riflessivo, quasi a voler riprendere un attimo fiato.

E se la cortissima “Through France With Snow” (poco più di un minuto e quaranta secondi) è totalmente strumentale e vuole regalarci un attimo di tranquillità attraverso toni ambient, ecco poi i quasi undici minuti di “Stuck At The Door”, in cui il gruppo inglese ci conduce attraverso un epico viaggio psichedelico dai ritmi e dagli umori variabili.

Un album doloroso e non facile da digerire, ma assolutamente solido e compatto, che ci porta una band che, dopo una lunga e doverosa pausa (più o meno forzata), sembra aver ritrovato la giusta strada da percorrere.