Mettiamo subito il paletto fondamentale alla recensione, il punto di partenza su cui tutto si deve basare. Mike Kinsella è Dio. Qualsiasi cosa lui tocca, che sia una chitarra, che sia un synth, diventa subito oggetto di venerazione, una reliquia praticamente. Non c’è neanche bisogno che vi dica cosa c’è nel curriculum di Dio, perché se non lo sapete mi sto anche chiedendo cosa ci facciate qui su IFB.
Bene, ora possiamo parlare dei LIES, progetto che vede il divino Mike impegnato con il cugino Nate, ovviamente sempre della splendida famiglia Kinsella che meriterebbe di essere onorata nei secoli dei secoli.
I LIES non giocano sul terreno degli American Football, non ci fanno nemmeno palpitare il cuore come ci capita ogni volta che ascoltiamo le magie chitarristiche soffuse di Owen, ma ci portano in un paradiso in perfetto equilibrio tra indie-pop e synth-pop, in un luogo in cui l’atmosfera intorno a noi è ricca di suggestioni, attenta a non essere mai troppo scarna nel suo lavoro ritmico e nello stesso tempo pronta a integrare chitarre, loop, cori angelici e archi, come se i Postal Service si facessero una scampagnata con gli Stars. Fa sempre capolino una voglia, tutt’altro che nascosta, di assaporare basi e sensazioni più dilatate, in cui fermarsi un attimo e ammirare con stupore e beatitudine quello che ci circonda, ma senza abbassare la guardiamo, diciamo così, perché le sorprese sono sempre in agguato.
La prima parte del disco è più variegata, meglio, più colorata e suggestiva, ricca di pulsazioni intriganti (“Resurrection” è magico esempio). “Camera Chimera” ha un battito forte e pulsante, con momenti distorti e cupi, siamo quasi in zona Depeche Mode, ma la voce di Mike è guida rassicurante e dolce e la successiva “Summer Somewhere” è tutta costruita su una base incalzante. Poi da “No Shame” in poi il tutto si fa più avvolgente e morbido, ma, come dicevo sopra, senza perdere la voglia di stupire con veri e propri colpi quasi di teatro, che portano i brani a toccare degli estremi. Proprio “No Shame” ha un finale sinfonico che si eleva sulla chitarra in loop, “Knife” è un giro in giostra tanto intimo quanto urlato, forse solo la bellissima “Rouge Vermouth” si muove uniforme, con un taglio oscuro e dilatato , come se Badalamenti avesse messo alla moviola una band anni ’80, lavorandoci sopra, mentre i due brani finali sembrano più due frammenti onirici messi in musica, sopratutto “Merely”, così evocativa.
Maturi eppure a tratti quasi fanciulleschi, rassicuranti e spiazzanti, astratti e concreti, dai toni bassi ma senza disdegnare luci più intense, semplici in apparenza ma anche articolati e stratificati: i LIES dei cugini Kinsella vivono di emozioni contrastanti e, proprio per questo, solleticano la nostra empatia più immediata in un disco che, ascolto dopo ascolto, rivela sempre più particolari affascinanti.
Esperimento pienamente riuscito!