La lunga carriera degli australiani The Church prosegue a gonfie vele. Dopo quarantatré anni di attività, che di certo non sono pochi, è un piacere ritrovare il gruppo ancora ispirato e in piena forma con le tredici tracce di questa ventiseiesima fatica in studio intitolata “The Hypnogogue”. Non una semplice raccolta di canzoni, ma un vero e proprio concept album che permette alla band di Steve Kilbey di mostrarci tutto il potenziale di un guitar pop/rock psichedelico di grandissima classe.

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Vecchio stile, certo, ma flessibile come non mai e ricco di sorprese, legate principalmente a una vena progressive che emerge in maniera netta nelle tracce più raffinate e articolate (“Albert Ross”, “These Coming Days”, “Antarctica”…). Reminiscenze di pop anni ’60, richiami alle lezioni di Beatles e David Bowie, leggere sfumature post-punk, fiumi di malinconia e atmosfere lisergiche fanno da trait d’union a un disco che, seppur affezionatissimo alle sonorità del passato, convince per le sue incessanti evoluzioni.

Una prova di maturità: i Church invecchiano, non fanno nulla per nascondere i segni dell’età ma continuano a sperimentare con un genere che conoscono come le loro tasche. Tradizionali nel linguaggio ma innovativi nell’approccio: curiosità e desiderio di crescere ricoprono ruoli importanti in un’opera tradizionale e al tempo stesso innovativa, influenzata da generi diversi ma sempre attenta a mantenere un canale aperto con la semplicità, l’immediatezza, l’orecchiabilità.

Un piccolo manuale di musica pop scritto da Steve Kilbey, fine cesellatore di limpide melodie e autore di tante belle canzoni sparse qua e là nell’arco di quattro decenni. Come non ricordare, a tal proposito, la celeberrima ed emozionante “Under The Milky Way” del 1988? In “The Hypnogogue” non vi sono singoli destinati a seguire le orme della più nota hit del gruppo di Sydney. Ma poco importa, perché la qualità dei pezzi proposti è abbastanza alta. E in lista c’è anche un piccolo capolavoro jangle pop chiamato “Aerodrome”.