Domani – venerdì 14 aprile – uscirà il sesto album di The Tallest Man On Earth, “Henry St.”. Non solo segna il suo debutto per la prestigiosa Anti-, ma vede per la prima volta lo svedese collaborare con altri colleghi in studio. Nato a partire dalla fine del 2021, quando Kristian Matsson è potuto finalmente ritornare a suonare, il disco cerca comunque di essere ottimista, nonostante gli ultimi duri anni che tutti noi abbiamo passato. Il musicista nativo di Leksand inoltre arriverà a presentare la sua nuova fatica sabato 29 aprile al Fabrique di Milano. Noi di Indieforbunnies.com abbiamo approfittato di queste due occasioni e qualche settimana fa abbiamo contattato Kristian via Zoom per farci raccontare qualche dettaglio in più sul nuovo disco e non solo. Ecco cosa ci ha detto:
Ciao Kristian, da dove ci stai rispondendo?
Ora sono a Los Angeles, sto per iniziare il mio tour degli Stati Uniti domani. Sono solo dieci concerti qui in America. Ci riscaldiamo per poi trasferirci in Europa, dove invece avremo un tour più lungo e suonerò anche a Milano.
Per prima cosa, tra pochi giorni uscirà il tuo nuovo disco, “Henry St.”. Quali sono le tue aspettative per questo nuovo lavoro?
Sono molto contento che possa finalmente uscire perché é già stato registrato da un po’ di tempo. L’ho registrato lo scorso anno e finora ho realizzato due singoli, “Every Little Heart” e “Henry St.”. Ho appena passato due settimane a provare insieme alla band. Finalmente diventa qualcosa di reale: non fraintendermi, finora abbiamo fatto molta programmazione e tanta press, ma ora finalmente potrò tornare a suonare dal vivo e sono molto contento per questo perché é una cosa che riesco a fare bene.
Nel 2020 sei dovuto tornare in Svezia per aiutare i tuoi genitori durante la pandemia. Hai passato molto tempo a casa, ma non hai avuto alcuna ispirazione per scrivere nuova musica: alla fine del 2021 sei tornato ad andare in tour e le cose sono migliorate, hai iniziato a scrivere nuovo materiale e il processo di scrittura è ricominciato un altra volta. Quanto è importante per te andare in tour, vedere nuovi luoghi e nuove persone, magari incontrare degli amici in giro per il mondo? E’ una sorta di ispirazione?
Sì, assolutamente. Sono tornato a casa dagli Stati Uniti e non ho più potuto fare ciò che avevo fatto per la maggior parte della mia vita. Ero a casa – mi sono trasferito lì per stare vicino ai miei genitori che sono anziani. Non sono nemmeno potuto andare a visitarli per colpa della pandemia, ma ero lì nel caso fosse successo qualcosa. Sono rimasto da solo per la maggior parte del tempo e ho capito che cose fantastiche mi fossero capitate nella vita. L’ispirazione mi viene quando sono in giro per il mondo, incontro sconosciuti e passo il tempo con gli amici: l’ispirazione viene da qui per me. Mentre ero da solo, ho scritto qualcosa, ma era davvero brutto, vizioso e deprimente. Non sapevo cosa stessi facendo: le news ci hanno ricordato della nostra mortalità e di cose del genere e allora mi sono depresso e non riuscivo a prendere in mano uno strumento, così ho deciso di iniziare a coltivare delle verdure in modo da aver qualcosa da fare. Sin da quando ero un bambino prendevo uno strumento e mi perdevo in esso, suono anche tra un’intervista e l’altra, ma in quel momento non riuscivo più a farlo e allora ho deciso di trovare qualcosa d’altro. Ho meditato tanto, ma avevo bisogno di fare qualcosa di fisico e allora ho coltivato delle verdure perché era qualcosa su cui mi potevo concentrare. Alla fine del 2021 sono ritornato a suonare alcuni piccoli concerti in Svezia e poi sono riuscito ad avere il mio visto per andare ancora negli Stati Uniti. Da lì sono esploso ed ero nuovamente molto ispirato, così ho potuto ricominciare. Potevo vedere gli amici, uscire a cena, incontrare qualche ragazza e cose di questo genere. Così ho ripreso a scrivere canzoni e ne sto scrivendo ancora adesso.
Quindi stai già scrivendo nuovo materiale?
Sì, certo. Scrivo in ogni momento.
Hai detto che “Henry St.” è il tuo disco più giocoso, ma allo stesso tempo è anche molto personale. Che cosa significa tutto ciò?
E’ l’album che più mi rappresenta perché è qualcosa che è successo quando ho capito che sarei tornato a suonare ancora altri concerti, c’era una nuova libertà in me, una nuova fiducia. Ho capito che è ciò che farò per tutta la mia vita: scriverò canzoni, le suonerò e, per la prima volta, non mi interessava a quante persone sarebbero piaciute o se avrei avuto una carriera di successi. Mi ha dato la forza per arrivare più facilmente al punto rispetto al passato. Per la prima volta ho avuto la fiducia per invitare fantastici musicisti a suonare insieme a me. Ovviamente ho scelto per la maggior parte persone che conosco da parecchio tempo. Sono supertalentuosi! Li ho scelti, ma poi non li ho diretti su come volevo che suonassero. Li ho semplicemente dato la canzone e li ho lasciati liberi di fare ciò che gli veniva in mente. Abbiamo registrato il disco per la maggior parte live tutti insieme in una stessa stanza e ciò ha creato questa sensazione di comunità. Tutti noi abbiamo avuto dei momenti difficili durante la pandemia, così ero molto felice di poter essere in una stanza a suonare insieme ad altri musicisti, ma anche a condividere emozioni. Credo che, suonando musica, sia importante trovare anche un senso di giocosità come quando eri bambino, ti stupisci, esplori, ridi e, quando vieni colpito da grandi emozioni, le lasci uscire, quindi ho cercato di essere il più aperto possibile. Non succede sempre. Le canzoni sono diverse, ma a livello di testi sono legate tra di loro.
Questi altri musicisti che hanno suonato insieme a te sul disco che cosa hanno portato alla tua musica?
Tantissime cose. Phil Cook ha suonato il piano: anch’io lo suono, ma lui lo suona in maniera straordinaria. Stavo per registrare la canzone “Henry St.”, ma poi mi sono chiesto perché avrei dovuto suonare io il piano, quando Phil era con me. Ho imparato tanto da lui e ora sono un pianista migliore, ma anche un miglior chitarrista e un miglior suonatore di banjo perché questi musicisti hanno sbloccato qualcosa dentro di me. TJ Maiani suona la batteria sul disco: quando ho scritto la canzone “Every Little Heart” avevo un beat di batteria nella mia mente e glielo volevo spiegare, ma lui ha suonato con un ritmo totalmente diverso rispetto a quello che pensavo io e mi ha sopreso e ha sbloccato altre parti della canzone, qualcosa che non avrei mai potuto suonare da solo. Questa è la bellezza di lavorare insieme e di non voler controllare le cose.
Ti posso chiedere qualcosa riguardo al titolo del tuo nuovo disco? “Henry St.” è una strada che esiste realmente? C’è qualche altro significato dietro a questo titolo?
Sì, esiste davvero, era dove vivevo quando ero a Brooklyn. E’ tutto iniziato lì per quanto riguarda questo disco. Ero lì all’inizio della pandemia. NYC era molto confusa, guardavo le persone intorno a me, c’erano molte difficoltà. Siamo cresciuti con l’idea che ognuno sia unico e che ci si deve concentrare su noi stessi e che tu sei la persona più importante. In realtà non è così che funziona. Abbiamo bisogno uno degli altri. Alla fine del 2021 sono tornato a suonare piccoli concerti in Svezia magari per cinquanta persone ed è stato molto emozionante. Ho messo tutta la mia passione nel suonare la mia musica. Ed è stato proprio lì che capisci che tutti i bei ricordi provengono da quando sei stato insieme ad altre persone. Questo è ciò di cui parla “Henry St.”, avere delle persone intorno a te. Il mondo ora è davvero buio e abbiamo fatto tante cose orribili: come facciamo ancora a trovare l’amore in questo mondo? Ma lo troviamo. E come facciamo ancora musica e arte? Siamo dei sognatori a occhi aperti e riusciamo a creare, altrimenti il mondo sarebbe davvero deprimente.
Quindi hai certato di essere ottimista per questo disco? Che cosa ti ha spinto a provare a esserlo dopo due anni così cupi?
Ho quasi 40 anni, le tragedie capiteranno sempre nella tua vita, ma dobbiamo riuscire a essere felici e prendersi cura delle persone nella nostra vita ed essere un buon partner se hai qualcuno che ami, ma anche prendersi cura degli sconosciuti. Lo sai che cosa puo’ significare un sorriso per una persona sconosciuta? In molti casi questa persona sarà felice. Accettare la vità è sempre duro, ma dipende da come reagisci.
Suonerai a Milano tra poche settimane: quali sono le tue aspettative per il tuo concerto italiano? Inoltre nel tuo nuovo disco c’è una canzone che si chiama “Italy”: quanto puo’ avere a che fare con i tanti tour che hai fatto nel nostro paese?
“Italy” è una metafora per un posto da sogno. Molte persone nel mondo, sia in Svezia che negli Stati Uniti, hanno una visione romanticizzata dell’Italia. Suonerò sicuramente quella canzone e sono molto contento di poter tornare a suonare da voi e comunque tornerò ancora più avanti.
Il tuo nuovo disco uscirà per la Anti-, che è un’ottima label. Come ti sei trovato a lavorare con loro? Come sei entrato in contatto con questa etichetta?
Mi è piaciuto moltissimo, mi è sembrato di essere a casa. E’ la sister label della Epitaph, un’etichetta del mondo punk che ascoltavo sin dagli inizi. Mi sto trovando davvero molto bene con loro.
Un’ultima domanda, Kristian: per piacere puoi scegliere una tua canzone, vecchia o nuova, da utilizzare come soundtrack di questa intervista?
Direi “Every Little Heart”.
Grazie mille e spero di vederti presto qui in Italia.
Grazie a te.