Perdutamente superstar

Sono passati cinque anni dal dittico “L’amore e La Violenza (Parte 1 e 2). Gli eleganti cavalieri del pop ricercato hanno fatto ritorno non più su tre cavalli, ma su delle Cadillac anni ’50. I Baustelle hanno riportato in vita “Elvis”.

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Dopo aver mangiato, digerito e vomitato la versione di Elvis di Baz Luhrmann, ritorna l’idolo rock’n’roll americano in una crasi alquanto originale made in Montepulciano (o Milano per i neofiti): il trio composto da Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini decide che è giunta l’ora di riavvicinarsi alle radici della musica internazionale producendo uno dei migliori album della carriera.

“Elvis” è il simbolo della rinascita: una rinascita musicale, di stile, d’immagine, di équipe di lavoro e quant’altro. Il Re di Memphis è la forma più diretta di espressione per i Baustelle che in questo nuovo album decidono di mischiare il rock con il soul, toccando di nuovo punte altissime grazie all’abile scrittura di Bianconi e Bastreghi. Il tutto incanalato nella contemporaneità del nostro paese, arrivando addirittura a creare manifesti politici diretti all’establishment governativo.

“Contro Il Mondo” è il loro primo singolo estratto da questo disco: una canzone di protesta verso le usanze radical chic, verso gli stalli della modernità che ogni giorno viviamo, fatto a suon di chitarra elettrica. Un inizio e una presentazione di questa era convincente e che porta il gruppo su un altro livello. A seguire viene presentata la traccia “Milano è La Metafora dell’Amore”, un secondo manifesto nei confronti della capitale meneghina che oramai fa da luogo adottivo della band. Se vogliamo anche questa diventa una canzone di protesta (e un po’ paracula) poiché nella descrizione ben dettagliata di alcune zone della città, si esprime tutto ciò che il nostro paese dovrebbe (ma non è ) essere. Un buon esempio da seguire, quindi. “La Nostra Vita” è il piccolo, ma grande, assaggio pochi giorni prima l’uscita del disco: una ballad corale, soul nella sua parte strumentale ma ben ancorata alla chitarra di Brasini che divampa per tutta la traccia. Già con queste prime tre anticipazioni avevamo capito che il rock’n’roll aveva salvato la band.

Ma è proprio nelle altre inedite canzoni, oramai lontane dal pop barocco precedente, che troviamo la vera essenza di questo album e la vera essenza dei rinati Baustelle. A partire da “Andiamo ai Rave” e la critica poco velata anti Meloni caratterizzata da chitarre elettriche e acustiche. “Los Angeles”, un brano incalzante di chitarra e batteria, profondamente ribelle nella sua anima e aulico a tal punto da citare Montale, fino all’esplosione nel ritornello. Con una trama d’organo costante per tutto il brano, “Betabloccanti Cimiteriali Blues” è il mondo vecchio della band (il testo come sempre arguto) che si unisce proprio ad un blues convincente dato dalle trombe in background a fare da cornice. Il racconto dell’oramai periferia milanese è in “Gran Brianza lapdance asso di cuori stripping club”, dove si seguono le vicende di una ragazza che non dorme mai, frequentante del Gran Brianza Asso di Cuori Stripping Club che abbraccia Elvis bavosi a non finire: la parte finale della canzone è un refrain in duetto molto vicino al sound di fine anni ’50/inizio anni ’60.

A finire l’album due canzoni con due grandi passati alle spalle. La prima, “Il Regno Dei Cieli”, si trasporta il grande momento “Forever” di Bianconi trasportato, però, nel nuovo contesto. Una menzione d’onore, per questa bellissima ballad caratterizzata da una fantastica sezione d’archi, va sicuramente di nuovo alla parte finale: da che si stava belli tranquilli, si esplode grazie ad una sezione soul-gospel di alto livello che coinvolge all’ennesima potenza e che vede la presenza di un coro finale ben azzeccato. La seconda ed ultima traccia dal grande passato è invece “Cuore”, e qui troviamo tutta la “Psychodonna” di Rachele Bastreghi: un’altra ballad a chiudere l’opera magna che finisce, guarda caso, con un altro coro e un altro, adorabile persistente, organo Hammond in accompagnamento.

Non ho menzionato “Jackie”, forse l’unica traccia che ricorda troppo la “Betty” di amore e violenza, che s’inserisce a mio parere di meno in tutto il contesto ma che rimane, comunque, una buona produzione.

Con dieci semplici canzoni, i divi del pop italiano hanno fatto risorgere il Re del rock in una veste autentica e veritiera dal punto musicale. “Elvis” è tornato grazie a tre artisti che se non avessero trovato nuove strade di espressione musicale si sarebbero sciolti. Per fortuna hanno deciso di cambiare rotta, rimanendo comunque loro stessi in tutto. Per fortuna sono tornati i Baustelle a far vedere come si fa della vera musica.