Urgenza non è fretta, non lo è mai e tantomeno per Vinicio Capossela che presenta tredici canzoni scomode, veraci, una reazione d’intelligenza alla decadenza del mondo in cui viviamo. Scritte fra febbraio e giugno del 2022 con l’aiuto di Don Antonio Gramentieri, Cesare Malfatti, FiloQ, Andrea Lamacchia e Alessandro “Asso” Stefana che si alternano alla produzione sono un atto di ribellione non violento ma a suo modo temerario.
Atmosfere western e orchestrali, valzer, folk, swing, cha cha cha, ska sono solo alcuni stili e generi toccati in questi brani, tra una “ninna nanna romantico-finanziaria” come “Il bene rifugio” e il consumismo a ogni costo aspramente criticato, messo alla berlina in “All you can eat”, spoken word dall’anima soul funky. “La parte del torto” cita Bertold Brecht, Claudio Lolli apprezzerebbe e si somigliano nella capacità critica, nella voglia di schierarsi dalla parte degli ultimi, nell’uso della parola come antidoto al silenzio.
La resistenza non è mai inutile, nemmeno futile, sembra voler dire Capossela in “Staffette in bicicletta” canzone partigiana dove compare la voce sempre splendida di Mara Redeghieri degli Üstmamò lì a ricordare il ruolo importante delle donne durante la guerra. Guarda oltre i confini e lo fa circondandosi di persone che di muri non ne hanno mai visti come Bunna, Sir Oliver Skardy e Raiz all’opera “Sul divano occidentale” (ogni riferimento a Goethe è puramente voluto).
Riporta in vita Ludovico Ariosto in “Ariosto Governatore” e “Gloria all’archibugio” che racchiude in sé tutto l’orrore della violenza, quella evocata anche nella commovente “La crociata dei bambini” che torna a citare Brecht con un testo ispirato al suo “La crociata dei ragazzi” che nel 1939 anticipava con chiarezza allarmante quello che stava avvenendo e sarebbe avvenuto. Resistenza dicevamo e quella de “La cattiva educazione” con Margherita Vicario è una critica veemente alla violenza maschile, agli uomini che fingono di non vedere.
Gli ultimi, i carcerati tornano ad essere protagonisti in “Minorità” prima di un finale lieve, persino giocoso con “Cha cha chaf della pozzanghera” che celebra l’infanzia e le sue mille sfumature, mentre “Il tempo dei regali” ispirato al libro di Patrick Leigh Fermor parla di doni e libertà, di accettarsi senza riserve. E’ questa la filosofia di “Con i tasti che ci abbiamo”, fragile e potente al tempo stesso. I tempi bui in mano a Capossela si riempiono di piccole luci, di umana speranza a patto di saper trasformare i limiti in possibilità.