Credit photo: Nadav Kander

E dunque ci siamo, l’atteso “i/o The Tour” del grande Peter Gabriel partirà il 18 maggio da Cracovia, in Polonia, per poi giungere nel nostro Paese per due date e, precisamente, il 20 maggio nella splendida venue dell’Arena di Verona e il giorno successivo al Mediolanum Forum di Assago (MI). A partire dallo scorso mese di gennaio l’artista di Chobham ha rilasciato ben cinque singoli che preludono all’uscita, si spera a breve, del nuovo full-length. Nel frattempo, l’occasione si fa ghiotta per ripercorrere la strepitosa carriera solista di Gabriel con la top ten che segue.

BONUS TRACK #2: Heroes
2010, da “Scratch My Back”

A mio avviso, una delle più belle versioni, insieme a quella di Dave Gahan, del capolavoro di David Bowie. Brano contenuto nell’ottavo album che contiene ben dodici cover interpretate da Gabriel accompagnato da un’orchestra.

BONUS TRACK #1: Don’t Give Up
1986, da “So”

Ballata memorabile, sfuggente, praticamente irripetibile, ispirata da Gabriel dalle fotografie “The Great Depression” di Dorothea Lange, che mostrano gli americani colpiti dalla povertà durante il periodo delle tempeste di polvere degli anni trenta (c.d. Dust Bowl). La canzone è accompagnata da ben due video originali il primo – diretto dai musicisti Godley & Creme – vede Gabriel e la Bush abbracciarsi per sei minuti e mezzo dietro un’eclissi di sole e l’altro – diretto dall’americano Jim Blashfield – mostra i volti di Gabriel e Bush che si sovrappongono ad un filmato che rappresenta una città e la sua gente in decadenza.

10. Shock the Monkey
1982, da “Peter Gabriel IV: Security”

Secondo singolo tratto dal quarto album, quello probabilmente che più si discosta dai lavori primipari, accompagnato da quel video angosciante scritto e diretto da Brian Grant, co-fondatore della MGMM Productions. “Shock The Monkey” è sicuramente il brano che più di altri ha condotto alla world music con le nuove e moderne tecniche di incisione e di uso della sperimentazione.

9. Biko
1980, da “Peter Gabriel III: Melt”

Brano di sette minuti e poco più dedicato all’attivista sudafricano anti-apartheid Stephen Biko, contenuto nel c.d. “Melt”, l’album probabilmente che introdusse Gabriel definitamente nel mainstream e noto per la sua peculiare mancanza di piatti nel set di batteria suonata, in diverse tracce, dall’amico ex Genesis, Phil Collins. Richard Attenborough nel suo film “Grido di libertà” incluse una versione dal vivo, registrata nel luglio del 1987, nella OST ed anche i Simple Minds, tra gli altri, si cimentarono in una bella cover di pubblicata nell’album “Street Fighting Years” del 1989.

8. Red Rain
1986, da “So”

Brano pazzesco con un copioso uso di sintetizzatori in apertura del capolavoro “So”. Accompagnato alla batteria dall’ex Police, Stewart Copeland “Red Rain” contiene uno dei tanti testi ispirati di Gabriel che, in questo caso, proviene da un sogno ricorrente durante il quale vedeva sangue umano sprofondare all’interno di un mare rosso.

7. Lovetown
1994, da “Philadelphia OST”

Rilasciato come singolo stand alone per essere poi inserito nella colonna sonora di un film tanto drammatico quanto straordinario, “Philadelphia” di Jonathan Demme. Così come questo brano, sorretto da un’ambientazione soffusa e accompagnato da un video realizzato in collaborazione con Yayoi Kusama, nota artista giapponese, che aveva già collaborato con Gabriel per il progetto “Art From Us” in occasione della presentazione dell’album “US” del 1992.

6. Digging in the Dirt
1992, da “Us”

Primo singolo dell’abum “US”, il brano è accompagnato dal celebre video (che vinse il Grammy Award per il miglior video musicale nel 1993) che riassume il periodo non proprio felice sia a livello sentimentale che familiare di Gabriel che cristallizza nell’irresistibile refrain “This time you’ve gone too far”…”I told you, I told you, I told you, I told you”.

5. Mercy Street
1986, da “So”

Altro brano contenuto nella perla “So”. Canzone di una intensità a dir poco inafferrabile che si muove nel misticismo più colto con Gabriel ispirato dalle opere confessionali della poetessa americana Anne Sexton della quale è da sempre un grande ammiratore.

4. Here Comes the Flood
1977, da “Peter Gabriel I: Car”

In una playlist di Gabriel non poteva certo mancare questa spettacolare ballata, probabilmente una delle sue migliori dove ogni parola a corredo della descrizione si rivela superflua e, dunque, non resta che commuoversi cantando il ritornello a squarciagola (“Lord, here comes the flood”/”We’ll say goodbye to flesh and blood”/”If again the seas are silent in any still alive”/”It’ll be those who gave their island to survive”) e lasciandosi trasportare dalle chitarre di Fripp.

3. Sky Blue
2002, da “Up”

L’ultimo tassello della “trilogia” arriva a ben dieci anni di distanza da “Us” e ci regala un Gabriel come non mai attento ai dettagli. E, infatti, la cura dei brani in “Up” – settimo album in studio – è maniacale, gli arrangiamenti sopraffini che si riverberano in un’atmosfera cupa e nostalgica che caratterizza l’intera tracklist. Questa “Sky Blues” è meravigliosa e pare che l’artista inglese ci abbia lavorato per 10 anni prima di completarla.

2. Solsbury Hill
1977, da “Peter Gabriel I: Car”

Brano che non ha bisogno di presentazioni e che probabilmente meriterebbe il gradino più alto del podio di questa top ten se non fosse per la numero uno… Accompagnato da una sorta di particolare country-folk, “Solsbury Hill” segna il debutto solista di Gabriel dopo aver lasciato i Genesis. La canzone è stata scritta dopo un’esperienza spirituale avuta dall’artista in cima a Little Solsbury Hill nel villaggio di Batheaston nel Somerset, in Inghilterra.

1. Games Without Frontiers
1980, da “Peter Gabriel III: Melt”

Beh, per quanto mi riguarda, primo posto più che scontato. Brano pazzesco che si riferisce a “Jeux sans frontières” (“Giochi senza frontiere”) , noto un programma televisivo trasmesso in diversi paesi europei. Il sound acustico si mescola a quello dei synth con i cori di Kate Bush che danno vita ad un pezzo indimenticabile e trascinante.