E adesso come faccio a spiegare alle persone che mi circondano che oggi per me è un giorno davvero triste? Come potrei far loro comprendere che la scomparsa di un uomo di cinquantanove anni, portato via prematuramente dal solito maledetto cancro, uno che non ho mai incontrato e che non sapevo (e neanche mi chiedevo molto) che fine avesse fatto, ha avuto un impatto così forte su di me?
Davvero non saprei come spiegarlo a parole, ma Andy Rourke se n’è andato e mi sento molto triste.
Dentro di me ho anche piuttosto chiari i motivi di questo stato d’animo, che, naturalmente, vanno ben al di là del cordoglio per la morte di una persona (relativamente) giovane e piuttosto famosa, ma credo non sarei capace di articolarli coerentemente e, molto probabilmente, il tentativo risulterebbe un esercizio piuttosto tedioso, sia per me che scrivo che per chi dovesse leggere.
Ho tenuto un poster con Andy Rourke (e gli altri Smiths, naturalmente) sulla mia testa per una quindicina d’anni, dai sedici ai trenta, più o meno.
Lo acquistai in una delle mie rare puntate a Roma, da un tizio che, sul marciapiede vicino all’università, vendeva enormi poster su carta opaca e virati seppia delle band più in voga al momento. Lo pagai cinquemila lire, se ricordo bene, e dovrei averlo ancora da qualche parte, sbiadito e mal ridotto, arrotolato in un tubo di cartone, insieme alla mia gioventù, nel garage della (nuova) casa dei miei.
Andy, con il suo sorriso timido e appena accennato, la bocca un po’ storta, in un’espressione che nel tempo ho imparato a riconoscere come sua caratteristica, è l’unico dei giovani ritratti in piedi, sotto l’insegna del Salford Lads Club, a non guardare direttamente l’obiettivo.
Guarda di lato, un po’ verso l’alto, chissà dove.
È vestito come milioni di altri ragazzi dell’epoca, con un giubbotto – che ho sempre pensato fosse di camoscio, anche se al suo fianco c’è un tipo che non è mai stato troppo tollerante con l’uso di materiali di derivazione animale- una maglietta nera, dei jeans chiarissimi e i calzini di spugna che si intravedono sopra un paio di scarpe un po’ incongrue, che sembrano anch’esse di camoscio chiaro.
Andy ha poco più di venti anni in quella foto. E per me sarà sempre giovane.
Mi sono sempre chiesto verso cosa stesse guardando Andy in quella foto, ma probabilmente non importa davvero.
Ricordo che quando appesi il poster alla parete, Andy era appena stato rimpiazzato da Craig Gannon, proveniente dagli Aztec Camera. Era fragile, Andy, e non riusciva a tenere a bada le sue dipendenze, così la band era stata costretta a mandarlo via.
All’epoca non ne sapevo molto, ma suppongo che Johnny Marr, il suo migliore amico, colui con il quale Andy aveva condiviso tutto da quando avevano undici anni, l’avesse fatto per il suo bene. E, infatti, pochi mesi dopo, Andy, di nuovo in forma, era ritornato a imbracciare il basso per gli Smiths, che spostarono Gannon alla chitarra ritmica, diventando, per un breve periodo, un quintetto.
Solo pochi mesi dopo aver appeso quel poster alla parete, quando dalla radio mi arrivò la notizia che la band si era sciolta (credo di averlo raccontato mille volte: è incredibile come, alla resa dei conti, siano così pochi gli episodi significativi nella vita delle persone…), mi trovavo a letto, in quella che era, senza dubbio, ancora la mia “cameretta” e ne rimasi così sconvolto che piansi a lungo, sommessamente.
Qualche notte più tardi sognai gli Smiths, tutti, ma non sul palco a suonare le incredibili canzoni che in poco tempo erano diventate così importanti per me, ma nel cortile di casa mia, a Latina (!), vestiti esattamente come sul poster che campeggiava sopra la testata del mio letto.
Erano ancora amici ed erano ancora sorridenti e mi chiedevano di scendere sotto casa per andare con loro. Non ricordo dove. Morrissey era in disparte e Mike, Johnny e Andy mi chiedevano di andare a chiamarlo, di coinvolgerlo nelle nostre chiacchiere.
Non credo di aver mai più fatto sogni del genere da allora, ma forse stanotte Andy e la mia adolescenza mi verranno a trovare e andremo di nuovo insieme a zonzo per le desolate e dimesse strade della cittadina in cui abitavo.
Andy Rourke è stato uno dei bassisti più sottovalutati della storia, secondo molti (alcuni dei quali, naturalmente, si ricordano di dirlo solo oggi…), e le sue linee di basso hanno contribuito in maniera decisiva a rendere le canzoni degli Smiths quello che sono.
Senza di lui è impossibile anche solo pensare agli Smiths e a brani come “This Charming Man”, “Barbarisms Begins At Home”, “Rubber Ring”, “Cemetery Gates” o ognuna delle settantaquattro canzoni che la band di Manchester ha inciso nei suoi cinque anni di attività.
Senza di lui, probabilmente, non sarebbe stato possibile ballare gli Smiths, così come accadeva, regolarmente, nei locali “alternativi” di mezzo mondo.
Chi l’ha conosciuto, ha sempre raccontato che era una persona dolcissima e buona.
Per me è sempre stato uno dei mattoncini (e non uno dei più piccoli) sui quali ho costruito la mia adolescenza e, di conseguenza, la mia vita e quando i mattoni posti più in basso cominciano a sbriciolarsi non c’è molto da stare tranquilli sulla solidità dell’edificio.
Odio scrivere i “coccodrilli”, ma questo non è un coccodrillo.
Andy ha sempre vent’anni e guarda altrove, in piedi, sotto l’insegna del Salford Lads Club.
Articolo originale si trova sul “Indie Sunset in Rome Don’t be sad, be TRISTE©”