Faccio parte di una generazione che era abituata ad aspettare. Aspettava un altro video dopo un video brutto su Videomusic; aspettava che finisse la canzone alla radio per scoprire il nome del gruppo; aspettava il prossimo sabato per avere abbastanza soldi e comprare un nuovo CD. Faccio parte di una generazione che per leggere i propri giornalisti musicali preferiti, doveva aspettare un mese. Per cui, per esempio, se Fabio De Luca sull’ultimo numero di Rumore parlava della Mò Wax o di Chloe Sevigny o di Detroit, tu per quel mese ti tenevi stretto la Mò Wax, o Chloe Sevigny o Detroit. E andava benissimo così.
Sono passati più di dieci anni, o forse quindici, non so, da quando Fabio De Luca ha pubblicato un libro, e chissà, magari sperava di averci seminati, di averci depistati con un podcast, o di aver fatto perdere le proprie tracce a questa comitiva di malmessi dai gusti “profondamente sbagliati”. Invece è bastato intravedere qualche sparuto post, neppure un vero teaser, che annunciava una nuova prova letteraria, ed eccoci subito in piedi, cellule dormienti riattivate all’istante dalla parola chiave “AnniOttanta”, pronti a seguire ancora quella scrittura, a fare il tifo per quello stile come se fosse la nostra squadra, a darci di gomito per ogni riferimento in cui ci riconosciamo, a gongolare trionfanti “ah, questa l’avevo sempre pensata anch’io“, e anche a lasciarci commuovere su certe pagine che parlano alla prima persona plurale.
Fabio De Luca, come avrete letto in questi giorni su molte e prestigiose testate, ha scritto un libro che parla di “Vamos a la playa”, dei Righeira e dell’estate del 1983. Nel libro viene descritta con accuratezza la genesi artistica e commerciale di uno dei più memorabili tormentoni estivi della nostra storia, e sono raccontate le condizioni culturali e sociali in cui un tormentone di questa portata può avere luogo, quasi fosse un miracolo (ma un miracolo che richiedere parecchio lavoro e ingegnosità). La canzone stessa “Vamos a la playa” viene commentata, decifrata e notomizzata in ogni suo elemento e aspetto. Le persone che l’hanno creata o che l’hanno vissuta da vicino ci offrono ogni possibile punto di vista sui fatti.
Ovviamente, trattandosi di Fabio De Luca, questo libro fa molto di più. La musica resta il centro del discorso, il movente di tutta la trama, ma in fondo hai presto qualcosa più di un sospetto che quella canzone, quella band e quel formidabile intrecciarsi di coincidenze e personaggi clamorosi (fra Torino, Firenze, Bologna, Milano…) siano un pretesto per raccontare qualcosa di più, una stagione o il tentativo di trovarle un senso. “Vamos a la playa”, insomma, è anche un veicolo lucente di neon e ricordi, pop e spontaneo al tempo stesso, per arrivare a dire altro di noi, una foto di gruppo che non sapevamo di avere.
Questo libro tutto giallo si intitola meravigliosamente Oh, oh, oh, oh, oh e raccoglie, tra le altre cose, interviste a chiunque possa avere incrociato la traiettoria dei Righeira in quell’epoca (e non solo), finendo così per diventare una specie di via di mezzo tra un “Fratelli d’Italia” della nostra scena musicale di fine Novecento e un “Ready Player One” di formazione, in cui questa vita di citazioni, cataloghi ora incomprensibili, anni perduti e collezioni impolverate, ovvero tutto quanto ci proietta il più lontano possibile da ogni ipotesi di vagheggiata coolness, tappezzata di cravatte Memphis e discoteche piene, finalmente si appiana, trova spiegazione e risposta, una relazione completa tra quello in cui credevamo e quello che siamo.
Prima e dopo ogni intervista, negli interstizi dei capitoli, il personaggio Fabio ripercorre i luoghi dove sono accadute le cose che sta indagando (torna davanti al portone di un palazzo in un’altra città, nella cantina che serviva per le prove, si perde sul lungomare…), le rivede in filigrana sovrapposte al presente (annotando il numero del tram che passa ora per questo viale…), si proietta indietro nel tempo e attraversa per noi un Continuum di Gernsback che rivela, a poco a poco, qualcosa che va oltre la semplice storia di una canzone e dei suoi cantanti. Forse occorreva davvero ritrovare quei ritornelli sintetici futuristici appiccicati all’eterna estate italiana, quei dischi che mescolavano con ironia e irripetibile disinvoltura i Kraftwerk ed Edoardo Vianello, i B52’s e la Riviera Romagnola.
Forse era necessario riconsiderare quell’insolenza schietta e allegra, e un poco sconcertante, nell’affrontate l’angoscia della Bomba, la fine di tutto ma non della nostra voglia di ballare, di inseguire ancora la musica. Forse si dovevano risalire tutte le onde dell’etere a ritroso, riattivare i collegamenti di tutti i jukebox disseminati lungo la penisola, sollevare ogni cornetta di tutte le telefonate a tutti i programmi di dediche e richieste del pomeriggio, per capire finalmente come “mettere via il bloc-notes”, in un gesto di un istante e di apparentemente semplice sottrazione che lascia ammirati e commossi.
“Vamos a la playa” è certamente una canzone bellissima ed eterna; Johnson Righeira un’incarnazione del Punk (“ora venduto”) come poteva essere vissuto soltanto in Italia; quel mercato discografico aveva una portata economica e un impatto culturale oggi impensabili. Ma alla fine di tutto, alla fine di “Oh, oh, oh, oh, oh” mi accorgo di avere seguito la vicenda del narratore tanto quanto quella degli eventi narrati; di avere cercato la sua voce anche nelle voci delle canzoni che cita; di avere atteso, pagina dopo pagina, nuovi aneddoti dal 1983 ma anche notizie di questo nostro 2023. Di avere, insomma, ascoltato con trepidazione una consapevolezza che, nel suo lungo viaggio in direzione spiaggia, attraverso la musica prende forma e matura, fino a condividere quello sguardo in lontananza, “verso la luce traballante dell’insegna blu e arancione di un distributore di benzina”, e la musica continua altrove.
L’articolo originale si trova sul sito “Memoria polaroid – un blog alla radio“.
Editore: Nottetempo
Autore: Fabio De Luca
Lingua: Italiano
Pagine: 312 pagine
ISBN:
9791254800249