Doppia data italiana, dopo quasi una decade di assenza, per Peter Gabriel, che torna in tour in Europa, per presentare il suo nuovo disco, di cui sono già stati anticipati diversi tasselli, un album che non tradirà le attese per spessore e qualità.
Gabriel è colui che ha recitato la storia, senza compromessi e che e a 73 anni suonati fa ancora un’enorme differenza, perché il concerto è un viaggio assurdo, tre ore cronometrate di spettacolo con un break di circa 15/20 minuti tra il primo e secondo set.
Al pari di alcuni miti, non è certo un artista catalogabile, quanto criticabile, siamo davvero nell’enciclopedia della musica inglese, le cosiddette fondamenta di molte cose che ascoltiamo oggi o che abbiamo ascoltato in questi anni. E dopo 54 anni da quel capolavoro immenso che è “From Genesis to Revelation”, ritorna con un disco nuovo che riporta l’ex frontman della band di Godalming sugli scudi, perché i cinque singoli editi finora celebrano il giusto mix tra scrittura e produzione e pur non reinventandosi o sostanzialmente non sentendone l’esigenza, punta le fiche su una scrittura altissima, dilatata in tanti anni di assenza, tornando con un messaggio compiuto, sarà probabilmente uno dei lavori dell’anno, canzoni che sono anche il fulcro delle scelte fatte per la setlist di questo nuovo spettacolo, perché oltre ai succitati e conosciuti nuovi brani, ne presenta alcuni in totale “world premiere”, il primo ascolto è sempre quello più difficile, ma la sensazione che le canzoni mancanti per chiudere la tracklist di “I/O”, questo è il titolo, non siano inferiori a quelle già licenziate. Disco che arriva ben 21 anni dopo “Up”, che uscì proprio nel 2002.
Tornando allo show, io credo che davvero sia praticamente impossibile fare di più, siamo al top di gamma, una band incredibile al servizio di uno spettacolo elegante, calibrato, intenso, progettato senza lasciare una virgola al caso, dei visual geniali e parte fondamentale del racconto, quindi un padrone di casa in grandissima forma, come se il tempo si fosse fermato agli anni migliori.
Probabilmente l’Arena di Verona ha pure aggiunto la sua suggestiva accoglienza che per un percorso sonoro di questo tipo, sia non solo una splendida location (a detta degli artisti stessi una delle migliori al mondo), ma anche un ramo integrante del viaggio stesso, mi viene da pensare che in un palazzetto al chiuso si perda qualcosa della magia e della tanta bellezza di questa sera.
Il tutto parte, in maniera inaspettata, alle 20,05, distrattamente si pensava fosse un orario anticipato per le condizioni claudicanti di un maggio avverso, in realtà lo show comincia all’imbrunire in punta di piedi con una piccola finestra più intima e acustica con l’overture affidata a “Washing in the water” e“Growing Up”, la band raccolta a cerchio, quindi “Panopticom” primo singolo di “I/O”, che sa già di classico sgomitando ai piani alti del repertorio per la musicalità e la rotondità. Dicevo orario insolito, ma come già anticipato, parliamo di tre ore d’impegno, che impongono, almeno in Arena, questo timing.
Nel prima parte trovano spazio, tra le altre, oltre alla nuova title track o “Four Kinds Of Horses”, anche i colori evergreen di “Digging in the dirt” o della conclusiva ed immancabile “Sledgehammer”, che sancisce quindi una pausa da profumo teatrale tra i due atti.
Trovano spazio anche una clamorosa “Darkness”, posizionata, subito al rientro e una non da meno “Red Rain”, per il sottoscritto, uno dei capitoli più riusciti dell’intera carriera post Genesis, chiude “Sosbury Hills” accolta da un plebiscito sonoro, porte aperte quindi per “In Your Eyes” nel primo bis e l’abituale conclusiva “Biko”, brano scritto in un periodo ben preciso, ma che trascende le epoche senza essere vincolato ad un tempo, il cui messaggio ha un sapore universale.
23,05 precise che sanciscono il sipario e la fine di uno dei concerti più belli a cui sicuramente i 13000 presenti abbiano potuto assistere.