Se li cerchi su internet non esistono e se li cerchi sui social ci si sorprende per i pochi follower. Tra mistero ed innovazione, sono arrivati alla terza fatica gli Studio Murena. Ed il risultato non è per niente male.
“WadiruM”, il deserto che potete tutti visitare in Giordania. Un luogo sabbioso e desolato che si estende per tantissimi kilometri nel nulla del nulla. Se non ci vanno i turisti, sono poche le persone a resistere alle condizioni estreme di questo posto così lontano da noi. In questa location, il sestetto jazz-rap milanese ha ben deciso di ambientare questo terzo disco: proprio da qui il racconto della disumanità della metropoli (il contrasto quindi tra il punto di partenza e quello di arrivo) si staglia per tutti e tredici i brani arrivando a creare un lungo viaggio tra luce (il sole del deserto) e buio (l’oscurità della notte).
Il sound dello Studio Murena è sicuramente quello a cui tutti si appigliano nel primo istante nel quale viene nominata la band: un suono così particolare che, anche in questo caso, viene buttato a capofitto nel grande calderone di produzione. E proprio in questo deserto di tredici tracce lo sentiamo tutto. La fusione jazz con rap ed elettronica, ma anche con culture lontane dalla nostra è incredibile e ben salda.
Proprio nella lontana cultura peruviana ci ritroviamo già nella prima traccia “mirago, una strumentale nata dal ritmo del cajon (la percussione a forma di scatola, per essere chiari). Ci si sposta ad una title track “WadiruM” dalle forti e violente tensioni nel testo interpretato dal Carma e successivamente a “Mon Ami” che ci porta interessanti vibes elettroniche e la nuova presenza di un basso synth.
Interessanti, e molto particolari, sono i featuring che per la prima volta prendono spazio in un loro prodotto discografico. Da Ghemon per “Sull’amore e Altre Oscure Questioni” fino alla più interessante per quanto mi riguarda “Illusioni e Astrattismi” che vede il neo-jazz del gruppo fondersi con la bravura senza tempo del maestro Paolo Fresu. In “Origami” ritroviamo la presenza di Laila Al Habash, figlia Bombadischi e classe 1998 di origini palestinesi; altra presenza di tutto rispetto è quella di Enrico Gabrielli dei Calibro 35 in “Psycore” che si apre con ritmi tribali africani ed una tromba malinconica per poi esplodere nel ritornello “La giustizia è cieca”.
Se cerchi su internet non li trovi, non esistono; sui social, invece, hanno poco seguito. Vi chiederete come mai, anche se questo conta veramente poco siamo sinceri. Eppure, gli Studio Murena non se lo chiedono. Anzi, fanno quello che vogliono fare senza preoccuparsi dell’aspetto esteriore dato dalla conoscenza di tutto e di tutti. Questo album è l’ennesima prova che il gruppo è coeso e si muove come tale, senza sbavature nè difetti di grande importanza. Manca sicuramente quel brano che spicca su tutti, quello che potrebbe portarli ancora più fuori nel mondo vasto della conoscenza. Poco importa però, il progetto è ben saldo e funziona comunque. E tanto loro non esistono, quindi perché preoccuparcene.