Japanese Breakfast Primavera Sound 2023
Fonte: Eric Pamies

Dopo il successo della prima giornata (che potete recuperare qui) del Primavera Sound Festival, la seconda giornata non poteva non iniziare con la ventata di freschezza delle Ibiza Pareo, duo argentino che combina l’elettronica classica, pop e atmosfere mediterranee. Uno stato perenne di vacanza mentale ma sottoforma di musica. 

Dopo una breve sosta dalla dolce quanto colorata Carlota Flâneur (di cui consigliamo vivamente l’album di debutto “Uncertainty”), iniziano le ore più intense di questo festival – soprattutto per chi, come la sottoscritta, voleva provare per una volta l’esperienza in transenna in un festival di questa portata. 

In primis Michelle Zauner, mente della band Japanese Breakfast: tra piccoli cachi ricamati sui vestiti e altri cachi disegnati adattati a scenografia, l’artista ha immediatamente conquistato il cuore dei suoi spettatori, riconfermandosi come uno dei progetti emergenti più promettenti degli ultimi anni. Voce limpida, una delicatezza rara e tanti, tantissimi cachi: a volte basta davvero questo per un live di successo.

Molto meno delicato, ma decisamente d’impatto, è stato il rapper Baby Keem. Tra bassi all’ennesima potenza e fiamme dal palco (che a quanto pare hanno contribuito a far bruciare un faro durante l’esibizione di Skrillex, più tardi), l’artista si è davvero preso tutto quello che voleva, non lasciando neanche le briciole. Ammirevole poi come abbia saputo tenere il pubblico incollato al palco dall’inizio alla fine, intrattenendo e rendendo l’hype più alto a ogni secondo che passava. Di una presenza scenica e potenza evidenti, anche per i non amanti del genere. 

Qui parte un respiro decisamente profondo, e una premessa. Nell’attesa per i Depeche Mode ho sentito molte cose: che ormai non sono rilevanti, che tanto erano tutti lì per Kendrick (che aspettavo di vedere anch’io, chiariamoci), che i loro live sono sì carini, ma “c’è di meglio”. Essendo la primissima volta in cui li vedevo in 22 anni di vita, questi commenti hanno instillato un briciolo di dubbio in me, nella paura che una band a cui guardavo con ammirazione da dieci e passa anni si rilevasse in qualche modo deludente, spezzandomi il cuore – in minima parte, si fa per dire: sarebbe stato come rivelare a un bambino che Babbo Natale non esiste. 

La band sale sul palco: tempo tre secondi, e capisco che quello sarebbe stato il concerto più bello a cui avessi mai potuto assistere. Quasi due ore passato in un secondo e tante, tantissime lacrime versate tra i pezzi da “Playing the Angel” e “World In My Eyes” suonata in tributo a Fletcher. Cosa dire poi di un Gahan circondato da glitter e paillettes che on l’energia di un quindicenne non smette di ballare un secondo, e canta con la stessa intensità e passione con cui ha fatto innamorare milioni e milioni di persone dagli anni Ottanta a oggi? 

Una sola è stata la cosa davvero negativa di questo concerto: ha alzato in maniera irreversibile i miei standard – e va benissimo così, perché come si potrebbe mai rimpiazzare la storia che ha fatto un gruppo del genere?

Niente glitter o paillettes per Kendrick Lamar, che con uno stile tutto sommato minimalista ha dato vita a uno spettacolo unico, alla vista del quale l’intero pubblico è impazzito. Diversi i testi cantati all’unisono da spettatori e artista, da “N95″ (dall’ultimo album “Mr Morale & The Big Steppers”, nonché uno dei dischi più notevoli del 2022) a “DNA”. Non è difficile capire perché i biglietti per i suoi concerti vadano a ruba in pochi attimi: è stato come assistere alla vera e propria incarnazione del rap – surreale a dir poco, nel miglior senso possibile. 

Kendrick Lamar Primavera Sound 2023
Fonte: Sharon Lopez

Non è un caso che questa fosse la serata più attesa del festival, nonostante la terza e ultima serata preveda personalità come i Death Grips o Rosalìa. Assistere a tutti questi pilastri di seguito, però, è stato un po’ come un allineamento di pianeti: la cosa più affascinante che tu possa mai vedere in vita tua, ma è molto difficile che ti possa ricapitare – e forse è proprio questo a renderlo ancora più intrigante, è una sorta di memento mori che ci permette di apprezzare ancora di più i live a cui abbiamo la possibilità di partecipare.